Il reato di “devastazione e saccheggio“, introdotto nel dopoguerra e mai contestato per scontri di piazza, è stato rispolverato dalla Procura di Genova per i fatti del G8 del 2001. Gli elementi che integrano il reato sono: l’ordine pubblico messo in crisi e il danneggiamento ripetuto di beni, anche tramite compartecipazione psichica tra gli imputati. In pratica, non occorre aver effettivamente “devastato”, ma è sufficiente essere presente mentre gli altri devastano. Le indagini che porteranno al rinvio a giudizio di 25 manifestanti cominciano subito dopo il G8, quasi esclusivamente grazie a immagini e video di varia provenienza, diramate a tutte le Digos italiane. Il lavoro è quello di mettere un nome a tutte le facce possibili: le indagini sono volte a dimostrare chi era a Genova ed effettivamente in strada. Questo porta a una quarantina di identificazioni. Di queste 40 persone, 23 vengono arrestate il 4 dicembre 2002. Le indagini su 26 persone si chiudono nel giugno 2003, quando viene formulata la richiesta di rinvio a giudizio e l’udienza preliminare è fissata a dicembre 2003. Durante l’udienza preliminare la difesa chiede inutilmente la modifica del capo di imputazione “devastazione e saccheggio”.
La Procura infatti modifica l’imputazione ma in un altro senso: elimina molte delle parti offese originariamente individuate, liberandosi così di un una serie di punti deboli. Durante l’udienza preliminare il GUP rinvia a giudizio tutti gli imputati, fissando la prima udienza dibattimentale per il 2 marzo 2004. La strategia della Procura è dimostrare un “unico disegno”, in cui le tute bianche avrebbero approfittato dei disordini creati dal blocco nero, e sono quindi colpevoli di concorso nella devastazione. Obiettivo della difesa è smontare il teorema dell’accusa attraverso l’analisi puntuale dei reperti e il controesame dei testi. All’apertura del processo, il 2 marzo 2004, alcuni difensori degli imputati chiedono lo spostamento del processo in una sede differente da Genova, considerata pregiudiziale per la serenità del giudizio in quanto prevenuta rispetto ai manifestanti. In effetti l’udienza si svolge all’interno dell’aula bunker in un’atmosfera surreale con il Tribunale blindato. La posizione di uno degli imputati viene stralciata per difetto di notifica e verrà trattata in separato procedimento.
I 26 diventano 25. Il Comune di Genova e Area Banca non vengono ammessi come parti civili per vizi di forma. Successivamente si passa alla formazione del fascicolo del dibattimento, cioè la cernita degli atti che possono essere portati da subito a conoscenza del collegio giudicante: vengono considerati non depositabili alcuni atti della Procura fra cui le intercettazioni effettuate in carcere. Al momento della richiesta prove la discussione si concentra da subito sui video e sulla loro ammissibilità come prova, dal momento che la Procura decide di gestire questo processo quasi integralmente provando i fatti attraverso le immagini. I difensori chiedono di poter avere accesso all’archivio completo del materiale utilizzato dalla Procura, segnalando l’esistenza di un enorme fascicolo a carico di ignoti (a cui nessun difensore può avere accesso, dal momento che non esistono indagati) dal quale l’accusa ha estratto le immagini che riteneva rilevanti. I difensori degli imputati fanno inoltre presente di non aver ancora ottenuto copia del materiale depositato all’interno di questo fascicolo e di non essere quindi in grado di procedere al controesame dei testi portati dall’accusa, che testimonieranno, quasi tutti, con l’ausilio di supporti video o fotografici.
Il Tribunale invita quindi la Procura a consegnare in tempi brevi alla difesa copia del materiale video e fotografico depositato e concede un termine ai difensori per visionare il materiale. Viene chiamato a deporre il primo testimone dell’accusa: l’ispettore Corda, della Polizia Municipale, sezione di Polizia Giudiziaria, incaricato dai PM di ricostruire e situare cronologicamente, per sostenere l’accusa di devastazione e saccheggio, alcuni dei fatti commessi in Genova nei giorni 20 e 21 del luglio 2001. Durante l’esame di questo teste, utilizzando tre dvd da lui prodotti, i PM effettuano una ricostruzione della storia di quei giorni che dovrebbe costituire la base dell’accusa in questo processo. In realtà il video prodotto da Corda è un montaggio e, come ogni montaggio, non è una ricostruzione neutra dei fatti, ma un’interpretazione, realizzata in modo da proporre un messaggio preciso attraverso immagini accuratamente selezionate, poste in sequenza per risultare il più possibile suggestive. Corda, nonostante l’opposizione dei difensori che rappresentano il problema al Tribunale, viene esaminato dai PM, mentre alle difese è consentito di rinviare il controesame fino al momento in cui i consulenti tecnici dei difensori avranno avuto modo di analizzare integralmente i materiali depositati dalla Procura in questo procedimento.
Nel frattempo alla Procura viene consentito solo l’esame di testimoni che possano essere ascoltati senza l’ausilio delle immagini. Comincia quindi una serie di testimonianze di responsabili di uffici bancari, autosaloni ed altri esercizi commerciali danneggiati durante le giornate di Genova. A questi, quasi nessuno presente ai fatti e quindi di scarso interesse, seguono privati cittadini che hanno potuto osservare dalle loro finestre quanto accadeva in strada. Un dato interessante di tali testimonianze è che viene più o meno riferito da tutti l’atteggiamento non pericoloso né aggressivo nei confronti delle persone da parte dei manifestanti. Il cronista Gianluca Scaduto, che era presente alla prima carica del corteo della disobbedienza, racconta che il corteo era fermo e che da lì nulla venne lanciato. Ai carabinieri schierati in via Invrea all’incrocio con corso Torino sarebbero stati lanciati, secondo il teste, “due o tre sassi” provenienti da un gruppetto di persone posizionate all’angolo di via Tolemaide. La reazione dei carabinieri a questi tre sassi è nel suo ricordo un fitto lancio di lacrimogeni seguito dalla carica al corteo delle tute bianche. Il processo entra nel vivo quando la difesa, avendo avuto modo di visionare le copie video e fotografiche del materiale della Procura, contesta la genuinità del materiale video e la possibilità che gli originali siano stati “manipolati“.
Su questi punti vengono presentate tre memorie da parte dei difensori e dei consulenti tecnici della difesa che rilevano, da un lato, la non corrispondenza fra gli originali dei video e le copie depositate dalla Procura nel procedimento (nelle quali sono stati individuati tagli evidenti) e dall’altro, ancora una volta, il fatto che la difesa non ha potuto avere accesso all’intero complesso del materiale video, presente nel fascicolo del procedimento contro ignoti, e sul quale invece la Procura ha lavorato sin dall’inizio. Nell’ultima udienza prima della pausa estiva, i PM chiedono un rinvio per avere il tempo di contestare le memorie della difesa. Il Tribunale rinvia la decisione sui materiali video fotografici a settembre, quando decide di acquisire i dvd di Corda, “riservata ogni valutazione in merito all’efficacia probatoria del loro contenuto”, mentre il restante materiale video e fotografico verrà acquisito di volta in volta, se ritenuto rilevante e pertinente rispetto al teste. Con una successiva ordinanza il Presidente del Tribunale Devoto specifica che solo nel caso in cui il teste riconosca nel video sé stesso o una specifica situazione a cui è stato presente, il video relativo potrà essere acquisito come prova.
Nei mesi che seguono, sfilano i testi chiave dell’accusa: i poliziotti e i carabinieri che comandavano i vari contingenti schierati per le strade di Genova nel luglio 2001, tra i quali i responsabili delle cariche e dei pestaggi indiscriminati ordinati e condotti per tutelare l'”ordine pubblico”. Uno dei più importanti è il Primo Dirigente della Polizia di Stato Pasquale Zazzaro, responsabile, nei giorni del G8, della Centrale Operativa della Questura. Si tratta del PS che teneva le fila delle comunicazioni radio indicando ai dirigenti di piazza dove spostare i contingenti e quali operazioni effettuare, sulla base di ordini ricevuti dal Questore, o delle richieste fatte dagli stessi dirigenti in piazza. Zazzaro ricorda poco o niente, ma in realtà è una figura importante in quanto la sua audizione consentirà alla difesa di entrare in possesso di tutte le comunicazioni radio passate per la centrale operativa della Questura (non quelle dei carabinieri quindi) durante le giornate di luglio 2001 e che verranno largamente utilizzate nelle udienze successive. Tra i vari poliziotti e carabinieri che si sono susseguiti sul banco dei testimoni sono risultati molto significativi per la ricostruzione della difesa il Primo Dirigente di PS Mondelli, il capitano dei CC Bruno e il Dirigente del Commissariato di PS Centro Gaggiano, chiamati a testimoniare principalmente sui fatti di via Tolemaide.
Questi testi consentono la prima ricostruzione completa della carica al corteo autorizzato delle tute bianche. Mario Mondelli era il PS Dirigente di piazza e in quanto tale responsabile del contingente dei carabinieri che ha caricato il corteo della disobbedienza, mentre il Capitano Antonio Bruno era il CC che comandava quel contingente (il III battaglione Lombardia). Dalla loro testimonianza emerge che la prima carica contro il corteo (partita intorno alle ore 15) è stata un’iniziativa autonoma e improvvisa dei carabinieri e non, come era sembrato fino ad allora, una scelta fatta dal responsabile dell’ordine pubblico per quel corteo, il PS Angelo Gaggiano. Una carica violenta che travolge prima i numerosi giornalisti che si trovavano all’incrocio tra corso Torino e via Tolemaide, e poi il corteo di 10.000 persone che stava avanzando pacificamente lungo un percorso autorizzato. Con la testimonianza del capitano Antonio Bruno (udienza del 16 novembre 2004), la difesa segna un punto importante anche sotto un altro aspetto. Grazie al materiale video e fotografico utilizzato infatti gli avvocati dimostrano (e Bruno, di fronte all’evidenza delle immagini, non può far altro che confermare) che i carabinieri hanno caricato il corteo utilizzando oltre ai normali manganelli in dotazione all’Arma (i “tonfa”) anche diversi tipi di oggetti contundenti “fuori ordinanza”, tra cui mazze di ferro. All’inizio del 2005 depone Angelo Gaggiano, nel corso di tre lunghe udienze. Gaggiano è sentito in quanto responsabile di piazza per il corteo della disobbedienza del 20 luglio, e responsabile per il corteo internazionale del 21.
La sua testimonianza è confusa e piena di imprecisioni, uno sforzo continuo di sviare le domande della difesa. Il 20 luglio Gaggiano stazionava con i suoi contingenti in piazza Verdi, in attesa del corteo delle tute bianche che scendendo da via Tolemaide sarebbe dovuto arrivare lì. Ma il corteo non arriverà mai. Verrà caricato prima dai carabinieri di Bruno e poi dallo stesso Gaggiano (circa un’ora più tardi). Ma Gaggiano la prima carica non la vede proprio, e arriva a sostenere che non ci sia mai stata. Di fronte alla reticenza spudorata di questo dirigente di PS, anche davanti a immagini inequivocabili, la difesa chiede al Tribunale di valutare l’attendibilità del teste, e produce una vecchia sentenza di condanna per ricettazione. Un precedente penale che in sé potrebbe avere scarso interesse per il Tribunale, ma Gaggiano, compulsivamente, mente ancora una volta, raccontando che aveva “comprato un mobile”. Il Presidente del Tribunale, controllata la sentenza, lo contraddice: era stato condannato per avere venduto mobili rubati, e lo congeda seccamente. Gaggiano ha dato il colpo di grazia alla propria attendibilità. Di lì a pochi giorni anticipa il suo pensionamento. Dopo Gaggiano si susseguono altri testi, relativi a via Tolemaide e a piazza Alimonda, come il vice Questore aggiunto Fiorillo, il Tenente dei carabinieri Mirante, il Capitano Ruggeri (del battaglione paracadutisti Tuscania), il Capitano Cappello (presente in piazza Alimonda), e il giornalista Giulietto Chiesa.
Quest’ultimo, che è anche un teste della difesa, conferma la ricostruzione della prima carica contro il corteo delle tute bianche. Dal mese di maggio 2005 viene poi sentito come testimone del PM il dr. Cavalera, all’epoca dirigente della Polizia Scientifica di Genova: il PM lo ha usato per i riconoscimenti delle persone individuate nei materiali video fotografici. Dalla sua testimonianza è apparso sostanzialmente che non esiste un metodo scientifico per effettuare riconoscimenti fotografici. Infine dall’ottobre 2005 è stato sentito il teste Zampese (Digos Genova): nel corso di decine di udienze il teste ha esposto al Tribunale la ricostruzione dei fatti, i comportamenti degli imputati e i relativi riconoscimenti secondo la versione elaborata da Polizia e Procura. La tecnica è quella di un esame fotogramma per fotogramma di ore di filmati soffermandosi su particolari di vestiario utili al riconoscimento delle persone; nessuno spazio è dedicato alla ricostruzione dei comportamenti delle forze dell’ordine: il risultato è che le azioni dei manifestanti sono ancora una volta decontestualizzate. A febbraio 2006 il processo viene rinviato a settembre a causa dell’impegno improvviso del Presidente Devoto come membro supplente del CSM.
Dopo una lunga pausa il processo ai 25 manifestanti riprende a gennaio 2007 con la conclusione della ricostruzione, durata ben 8 mesi, dell’ispettore Zampese. Nell’udienza del 6 febbraio il tribunale accoglie l’eccezione sollevata dall’avv. Emanuele Tambuscio, uno dei difensori degli imputati, che sostiene che parte delle indagini siano state portate avanti oltre i termini previsti dalla legge. Grazie a questa decisione viene dichiarata inutilizzabile tutta la ricostruzione fatta da Zampese per mezzo delle comunicazioni audio della centrale operativa della Questura. In seguito al controesame dell’ispettore viene ascoltato il colonnello Truglio comandante delle compagnie CCIR (Compagnie di Contenimento e Intervento Risolutive) durante il g8 e membro del Tuscania. Il colonnello è presente su uno dei due defender lasciati a chiusura della colonna che si era mossa su via Caffa e che si ritirano in piazza Alimonda. La sua deposizione è imprecisa e lacunosa. Truglio in aula racconta che vede un manifestante cadere a terra che viene investito dal defender assediato in piazza. Singolare è questa sua ricostruzione della morte di Carlo Giuliani come il fatto che neghi più volte di aver udito colpi di pistola.
Successivamente si passa ai testi della difesa. Vengono analizzati così i movimenti e le azioni delle FFOO in particolar modo per quanto concerne Via Tolemaide e Piazza Alimonda. Le numerose testimonianze mettono in rilievo le successive cariche dei Carabinieri e delle forze di polizia al corteo autorizzato delle Tute Bianche. In questi ultimi mesi sono venuti a deporre in tribunale parlamentari, portavoce di movimento, medici, giornalisti e operatori media. Tra i deputati si ricorda Paolo Cento. Quest’ultimo faceva parte del gruppo di parlamentari a seguito del corteo che dallo stadio Carlini doveva arrivare alla stazione Brignole. L’onorevole ha messo in evidenza come la carica delle FFOO alle tute bianche fosse del tutto immotivata. Sono stati sentiti anche i parlamentari Bulgarelli, De Petris, Zanella, De Cristofaro, Giordano, Mantovani, Mascia e Martone i quali hanno ribadito la loro difficoltà ad avere contatti con le forze dell’ordine presenti in strada e quindi di mediare tra le stesse e i manifestanti. Sono venuti a testimoniare anche membri del GSF come Vittorio Agnoletto, Raffaella Bolini e Luca Casarini. Questi hanno raccontato come i rapporti del GSF con il capo della polizia De Gennaro a un certo punto si erano interrotti e dovettero rapportarsi unicamente con Andreassi.
Non era chiaro con quali soggetti si potesse realmente interloquire e perchè fu lasciata così grande autonomia d’azione ai CC il venerdì 20 luglio. A giugno 2007 è la seconda volta in aula di Mario Placanica che decide di testimoniare. Purtroppo neanche in questa occasione il carabiniere accusato di aver sparato a Carlo Giuliani riesce a fare chiarezza su ciò che accadde in Piazza Alimonda. Un susseguirsi di dubbi e contraddizioni predominano nella sua deposizione mentre fa ricadere le colpe sulle forze dell’ordine presenti in piazza che, se fossero intervenute, avrebbero potuto evitare che succedesse qualcosa di grave. Messo alle strette dai manifestanti e ferito alla testa il carabiniere racconta di aver sparato due colpi in aria. Dice di ricordare che venne a sapere solo più tardi in ospedale della morte di Carlo Giuliani. Il dibattimento si è chiuso martedì 6 luglio con le consulenze tecniche della difesa. Grazie ai video e agli audio prodotti dai consulenti si è voluto evidenziare come la messa in crisi dell’ordine pubblico sia stata causata dalle forze dell’ordine mediante l’ingiustificato attacco al corteo.
Il procedimento è rinviato al 18 settembre 2007 per le conclusioni. Il 14 dicembre 2007 viene emessa la sentenza di primo grado.