[…] Sono molto contenta anche del dialogo sulle mele. Quando Paolantoni dice al suo avvocato: “Sai quante specie di mele c’erano cinquant’anni fa? Quarantacinque. E oggi? Sei. Come mai la gente non se n’è accorta? Perché è stato un cambiamento graduale”.
Ci abituiamo a tutto, la memoria si cancella.
Ora che vogliono privatizzare l’acqua, ci stanno abituando a consumare acqua minerale. A pagare per bere. A pagare pure tanto. Pubblicità dell’acqua da tutte le parti. Qualche anno fa era impensabile, come pubblicizzare l’aria. Quando ci sarà merda dappertutto forse cominceranno a pubblicizzare il suolo calpestabile. Il piacere di poggiare il piede sul terreno solido. Piedi felici che saltano, che accarezzano la terra. […]
Da “Il diario di Sabna Guzz” di Sabina Guzzanti – Einaudi editore
ACQUA BENE COMUNE DELL’UMANITA’
Nel 1977 a Mar de Plata in Argentina si è svolta la prima conferenza con l’obiettivo di garantire acqua potabile a tutti gli esseri umani entro il 2000. Obiettivo mancato: oggi 1 miliardo e 680 mila persone non hanno accesso all’acqua e, secondo l’OMS nel 2025 due persone su tre potrebbero vivere in condizioni di scarsità di acqua perché negli ultimi 30 anni le risorse idriche si sono ridotte del 40% a causa dell’inquinamento e dello spreco. La sua limitatezza ha trasformato l’acqua da un diritto universale imprescrittibile di ogni essere vivente a un bisogno, regolato dal mercato e dalle leggi della domanda e dell’offerta. La parola d’ordine dunque è privatizzare cioè affidarne la gestione a un soggetto diverso dell’ente pubblico. Questo processo è stato avviato in Italia negli anni ’90, con la legge Galli che, almeno sulla carta, intendeva razionalizzare la gestione della risorsa creando il servizio idrico integrato, ossia il ciclo unico di raccolta, erogazione e depurazione dell’acqua, per ridurre gli sprechi determinati dalla frammentazione degli enti responsabili delle diverse funzioni ed istituire gli Ambiti Territoriali Ottimali modellati sulla base dei bacini idrogeografici per gestire la risorsa in maniera coerente rispetto alle fonti di approvvigionamento e alla popolazione da servire. La difficoltà di garantire l’economicità della gestione ha spinto gli enti locali, titolari del servizio, ad affidarlo a soggetti terzi. Così hanno proliferato dapprima le aziende municipalizzate e speciali (aziende totalmente pubbliche, ma con consiglio di amministrazione e dei dirigenti propri staccati dalla struttura dell’ente locale), e, successivamente, le società per azioni interamente di proprietà dei comuni o dei consorzi di comuni. L’affidamento della gestione del servizio idrico a società per azioni non ha indotto le SpA a promuovere politiche di risparmio idrici, né a fare gli investimenti neccessari nella manutenzione per ridurre le perdite ed aumentare la qualità del servizio. I gestori delle nuove SpA si sono limitati ad aumentare le tariffe ed ad investire nelle “grandi opere” per aumentare l’offerta d’acqua.
QUALCUNO VUOL DARCELA A BERE
Le etichette commercializzate sono più di 250, ma il 70% del mercato è in mano a poche multinazionali: Nestlè, Danone, Italacque (Boario, Ferrarelle, Sant’Agata), San Benedetto, Uliveto, e Rocchetta. I costi di produzione sono minimi perché lo sfruttamento delle fonti demaniali avviene con il sistema delle concessioni pubbliche da cui lo Stato, in base ad un decreto regio del 1927, ricava pochi spiccioli: meno di 500 mila euro all’anno. Quel che è più grave è che oltre l’80 per cento delle acque minerali è imbottigliato in contenitori di plastica e i costi dello smaltimento ricadono sulle Regioni e sui Comuni, che in definitiva spendono più di quanto incassano. A conti fatti, le imprese delle acque minerali pagano la materia prima meno della colla per l’etichetta, rivendendola ad un costo 500 o anche 1000 volte superiore. La principale voce di spesa è la promozione pubblicitaria (quasi 700 miliardi di vecchie lire nel 2002), che in pochi anni ha trasformato i popoli occidentali in insaziabili consumatori di acqua in bottiglia. Per arginare lo strapotere dell’industria dell’imbottigliamento serve volontà politica. La conferenza Stato Regioni che si è tenuta nel 2006 ha approvato un atto di indirizzo che invita tutte le amministrazioni regionali ad applicare un canone di concessione pari a 2 euro per metro cubo non ha ancora trovato applicazione.
MERCIFICAZIONE E PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
La crescente privatizzazione dell’acqua sta ormai portando alla cessione dei nostri acquedotti alle multinazionali soprattutto straniere. Ci troviamo così di fronte al progressivo e totale controllo privato di una risorsa fondamentale per la vita. Negli ultimi anni il movimento per l’acqua come bene comune si è diffuso capillarmente in tutta Italia. Non solo si è avviata una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare ma si sono moltiplicate le vertenze contro l’imbottigliamento. Il comitato più famoso è quello per la difesa del Rio Fergia il fiume umbro che la regione vorrebbe regalare alla Rocchetta anche se oggi alimenta l’acquedotto di due comuni. La speranza è che queste lotte rilancino la mobilitazione contro il processo istituzionale di privatizzazione e per la difesa dei territori e dei beni comuni essenziali.