Foto e testi tratti dalla mostra “Sguardi non accidentali su Giuseppe Pinelli: istantanee di una storia collettiva” di Luca Greco

Alla maniera di una polaroid. Così è nato questo racconto fotografico che, mischiando parole e
immagini, prova a ricostruire la storia di Pino.

San Siro, che allora era aperta campagna, ci consegna tracce di un passato assolutamente presente. I
muri ci parlano e si fanno custodi della memoria. Esattamente come le parole di chi con Pino ha
vissuto.
Sguardi, mani e racconti che tratteggiano ciò che è stato.
E che consentono di ricostruire, almeno in parte, il quadro andato in frantumi ormai 55 anni fa…

Luca Greco
Dicembre 2024

Addentrarmi nella storia di mio padre, Giuseppe Pinelli, è stato come rimettere insieme i pezzi di un
vaso andato in frantumi. Quel vaso conteneva la nostra vita prima di quella morte imposta, Pino stesso
e la sua breve esistenza, il mondo che si sarebbe voluto.
Nel tempo ho cercato e ritrovato tanti frammenti che pian piano ho collocato al loro posto, così il vaso,
lentamente e faticosamente, ha ripreso forma.
Non è stato qualcosa che sono riuscita ad affrontare subito.
C’è voluto tempo per sentirmi abbastanza forte per cercare, raccontare, confrontarmi, aggiungere nuovi
pezzi a quelli che già avevo.
Per ricomporre la storia, ma anche i visi, le voci, i sogni, le speranze, l’impegno, affrontare l’atrocità non
solo di una morte, e trovare il coraggio per fare quelle domande che attendevano risposte da anni.
E allora cercare, leggere, studiare, approfondire, permettere di farsi male, di risentire intenso il dolore
senza più sfuggirlo, nel timore però di fare male, di provocare dolore, nel chiedere e rievocare ricordi.
Il prima e il dopo si sono ricongiunti, i tasselli hanno ritrovato il loro posto, nella consapevolezza che c’è
ancora tanto da fare, da acquisire e da difendere perché il vaso sia completo.
Ed allora proseguo, non da sola, mai da sola, con l’esempio di quella splendida persona che è stata
mia madre Licia, con la sua lotta dignitosa e fiera, questa ricerca di verità portando avanti il ricordo e la
memoria di mio padre, Giuseppe Pinelli.

Claudia Pinelli

Cosa raccontare che non sia stato già detto o scritto?
Noi nel tempo abbiamo provato a raccontare Pino da vivo: non è una lapide che ti parla di un uomo, ti dice
che è morto, non come ha vissuto. La lapide fu voluta dagli studenti e dai democratici milanesi e coinvolge
tutti, è la coscienza civile di Milano che si è mossa per Pino. Perché il racconto sulla sua morte e sulla sua
vita è stato un lavoro collettivo. “Non pensavamo che un anarchico avesse così tanti amici”: così dissero a
Licia. Nostra madre ha portato avanti con enorme dignità, riconosciuta da tutti, la difesa della memoria di
Pino. Licia è stata la prima donna italiana a denunciare un questore, perché “se non si poteva rimediare
alla sua morte, si doveva tutelare la sua vita”
.
Pino è stato spesso descritto dai compagni anarchici come il più vecchio tra i giovani ed il più giovane tra i
vecchi, faceva da punto di contatto con i giovani che si affacciavano al movimento anarchico, magari con
idee rivoluzionare stemperate subito da Pino con consigli di lettura, e quelli più anziani, con esperienza
vuoi nella guerra di Spagna e nei confini fascisti e nella Resistenza.
Ci sono state delle persone che a distanza di anni ci hanno scritto per dirci che Pino era stato un padre per
loro. Pino era generoso. Era una persona limpida, che non aveva paura di mostrarsi per quello che era.
Alla porta di casa aveva appeso una targhetta con sopra scritto “io sono anarchico”: era il suo modo per
stimolare la discussione con chi si avvicendava nella nostra piccola abitazione per farsi copiare a
macchina da Licia le tesi di laurea o articoli per varie pubblicazioni.
Pino era radicale. Ricordo una delle poche volte che andammo tutti e 4 a fare la spesa in un supermercato
in via Morgantini. Io e mia sorella nel carrello mentre nostra madre lo spingeva. Ad un certo punto vediamo
nostro padre allontanarsi e poi sentiamo voci concitate. Lui torna arrabbiatissimo. C’erano dei ragazzi che
avevano una spilla fascista – il fascio littorio o il simbolo dell’MSI – e lui era andato a fargliela togliere.
Pino conosceva l’esperanto. Avrebbe voluto insegnarlo. Quella lingua dei popoli che abbatte i confini
perché di confini non ne ha… un po’ come il “cielo”, che ci faceva scrutare con un telescopio che aveva
costruito e con il quale ci descriveva le costellazioni e ci insegnava a sognare.
Fu proprio a un corso di esperanto che Pino e Licia si conobbero. Da quel momento divennero inseparabili
fino al 12 dicembre del 1969. Quando tutto si è spezzato. Sono passati 55 anni ed oggi abbiamo una verità
storica grazie a Licia e a Pino. A Licia che non si è fatta schiacciare dalla macchina della (in)giustizia e a
Pino la cui uccisione ha smosso una società civile .
In tutte le “battaglie” per la ricerca della verità c’è chi perde e chi vince. Licia e Pino hanno vinto perché,
per usare le parole di mia madre, “l’importante è che tutti sappiano la verità. Gli sconfitti sono coloro che
non hanno avuto il coraggio di arrivare a scoprire la verità. Chi ha perso è lo Stato perché uno Stato che
non sa riconoscere la verità è uno Stato che ha perso, uno Stato che non esiste”
.

Silvia Pinelli

15.12.2024 – Milano, Piazza Fontana. Pinelli assassinato – Presidio musicale per Pino e Licia