C’ho pensato un sacco e ho trovato almeno tre motivi per cui pure quest’anno vale la pena fare l’esercizio di memoria solito del 20 luglio:
Il primo motivo è che questo giorno di 19 anni fa è stato così dirimente nella vita di un sacco di noi che ancora oggi l’insieme di quelle giornate lo chiamiamo solo col nome della città: Tu ci stavi a Genova? Co chi stavi a Genova? Do dormivi a Genova?
Tipo nel 1800 che la gente -immagino, boh?- se chiedeva “ma te ce stavi a Waterloo?”.
E ci metto sempre un po’ a realizzare che ci sono persone che oggi sono adulte, che possono votare scopare e comprare un’arma, che non erano letteralmente nate nel 2001, e che giustamente rispondono “ma a genova per cosa? Quando?”
E se penso a Carlo Giuliani, che a me sembra assolutamente un pischello di oggi, contemporaneo, che ha guardato gli stessi cartoni animati miei, che se vestiva come me… mi chiedo se invece ai ragazzini di oggi gli fa quell’effetto vintage, come facevano a me i morti ammazzati negli anni 70 e 80, e mi arrovello il cervello per capire come si fa a trasmettere una memoria viva, senza feticci e santini.
Perché la memoria non è neutra, la memoria è un terreno di scontro e pure se un sacco di gente lo scopre oggi indignata quando vede qualcuno che butta giù una statua, noi sono diciannove anni che ogni 20 luglio dobbiamo ingoiare le vostre stronzate, gli insulti e le biliose ricostruzioni di chi non conosce nemmeno il peso delle parole che usa.
Il secondo motivo è che pure se sono passati tutti questi anni, pure se ci sono adulti di oggi che non erano neanche nati mentre noi correvamo col fiato rotto nei vicoli di genova, pure se i vertici della polizia hanno fatto tutti carriera, tra di noi ci sta ancora chi sta in galera e chi scappa inseguito da mandati di cattura e richieste di estradizione, per placare la sete di vendetta infinita dello stato italiano.
Il terzo motivo è sempre il solito: che a noi sta cosa non ce passerà mai.
Sarà colpa della merda che ci stava in quei cazzo di lacrimogeni che ci siamo respirati, boh.
Michele Rech
Per Carlo Giuliani
Lo Stato è ciò che relaziona
ed organizza gli individui
dovrebbe dare una mano a che
la porta resti aperta a tutti
è un gancio offerto a chi
è in affanno, lo Stato è una difesa
collettiva e non l’offesa al singolo
e alla collettività, eppure, è un fatto
succede che alcuni se ne impossessino
e lo Stato allora reprime, tormenta, uccide
passano i decenni e la lotta di chi si oppose diviene non un crimine ma esempio
e anche se l’obbrobrio autoritario accade
e che a vivere sia Capitan Uncino
e è lui ad invecchiare mentre Peter Pan
alle volte muore, ricordiamoci che
lottare serve a questo: a che non sia
normale che succeda, lottare è questo:
restare giovani e saper volare.
20 luglio 2020
Giulio Laurenti
Ogni anno, il 20 luglio, ci viene ricordata una ferita aperta, che non smette mai di sanguinare.
Ogni anno, il 20 luglio, arriva gente a stuzzicarla, tormentarla, spalancarla ancora, quella ferita.
Persone che diciannove anni fa non erano a Genova, e che si sono fatte bastare la verità raccontata da quattro telegiornali e pochi editorialisti molto seri e molto certi di essere dalla parte del giusto.
Carlo Giuliani aveva un estintore in mano. Era un teppista. Un punkabbestia. Un figlio di papà. Voleva uccidere quel carabiniere. Se l’è cercata.
Ogni anno la ferita sanguina un po’ di più, e non vale niente cercare di riportare i fatti, gli antefatti, la verità processuale, le traiettorie, le reali distanze.
Non vale nulla, perché chi si è fatto un’idea nella testa non intende ridiscuterla.
Sì, va bene, erano ore che i manifestanti si prendevano i lacrimogeni CS – quelli vietati dalle convenzioni internazionali – che venivano lanciati anche dagli elicotteri. Sì, va bene, i poliziotti stavano spaccando da ore costole, nasi, facce e denti a freddo, senza nessun motivo. Sì, va bene, le forze dell’ordine assaltavano gli spezzoni pacifici del corteo e lasciavano fare tutto ad altra gente, che magari usciva dai furgoni della polizia come per caso. Sì, va bene, i blindati che correvano e sbandavano in curva, il sangue sui marciapiedi, le botte contro chi stava a mani alzate. Sì, va bene, quello che è successo poi alla Diaz e Bolzaneto.
Però quel cazzo di estintore, oh, proprio non si perdona.
Un po’ la metafora di questi anni di merda, se ci si pensa. Intorno ti spaccano la faccia, ti rincorrono a caso, ti urlano di stare muta, ti fanno saltellare uno due tre evviva Pinochet, ti minacciano di stuprarti con il manganello, ti trattano come un nemico pubblico. Poi uno si alza a fare qualcosa, qualsiasi cosa, e il perfetto silenzio che aveva accolto tutto il resto diventa uno strillo indignato.
È colpa tua se poi ci hanno menati, anche se ci stavano menando già prima. Abbiamo perso per colpa tua, non perché quegli altri ci stavano già massacrando, no, proprio per colpa tua.
Sei stato tu con il tuo sasso, ti urlano, e ti inseguono, e ti tappano la bocca finché la loro verità diventa uno slogan da ripetere come un modo di dire, una formula universale. E non lo sopportano, che qualcuno ancora oggi rifiuti di dar loro ragione, di prendere per buona una verità che più falsa non si può.
Carlo Giuliani era un ragazzo. Non un eroe, non un criminale. Un ragazzo che si è trovato, anche lui senza saperlo, in una guerra che aveva bisogno di vittime, eroi, buoni, cattivi, narrazioni fatte per intimidire. Una guerra che era appena cominciata, dichiarata contro sei miliardi di persone ignare. Una guerra sporca in cui era vietato reagire, altrimenti oddio, passi dalla parte del torto. Una guerra in cui si poteva solo perdere sorridendo e alzare le mani in segno di resa, per farsi massacrare meglio.
Carlo Giuliani era ad almeno quattro metri dal defender dei carabinieri. Il cazzo di estintore era vuoto, ed era stato lanciato dal defender poco prima.
La pistola era già puntata su un altro ragazzo da ben prima che Carlo Giuliani prendesse l’estintore in mano. Il defender non era isolato, c’erano una settantina di carabinieri e poliziotti intorno, più un altro defender.
Carlo Giuliani si è preso una pallottola in faccia. Gli sono passati sopra con il defender due volte. Gli hanno spaccato la testa con un sasso mentre era ancora vivo.
Però no, quell’estintore proprio è inaccettabile.
E torna, si ripropone, viene vomitato fuori da gente che straparla di passamontagna senza aver mai sentito nemmeno da lontano l’odore dei lacrimogeni, senza aver mai provato il senso di soffocamento che ti prende, anche in una piazza aperta.
Anche oggi è il 20 luglio, e anche oggi plotoni di esegeti del tg4 sentiranno la necessità di andare in giro a dire che però quell’estintore, e però il passamontagna, e però i teppisti.
Anche oggi ricondivideremo l’articolo dei Wu Ming che riassume tutte le controinchieste fatte, e anche oggi un sacco di gente dirà che non serve leggere ‘ste cose, loro lo sanno com’è andata, e ci terranno a farti sapere la loro opinione, come se questo fosse un argomento di conversazione mondana. E non lo capiscono, che tanti di noi ancora oggi tremano di rabbia anche perché sanno che ci sarebbero potuti essere loro, al posto di Carlo Giuliani. Ci saremmo potuti essere tutti, al posto suo, e su ognuno di noi si sarebbe scatenata la stessa merda menzognera e imperdonabile.
Anche oggi, come da diciannove anni a questa parte, io mi riprometterò di tacere, finché poi mi scoppierà il fegato e dirò la stessa identica cosa che dico da diciannove anni, ogni 20 luglio che Dio manda in terra: oh, se tutte le ingiustizie e disuguaglianze della terra vi indignassero anche solo la metà di quanto vi indigna quel cazzo di estintore, oggi saremmo un paradiso socialista.
Paola Ronco
SE AVESSIMO VINTO NOI
(Se non avessimo perso noi)
Da qualche anno a questa parte, una delle frasi più ricorrenti quando si rievocano i giorni di Genova è “Avevamo ragione noi”. Sono stato uno dei primi a usarla, quindi figuriamoci se non sono d’accordo. E poi la verità è davanti agli occhi di tutti, solo a volerla guardare: tutto ciò che rivendicavamo rimane scritto, insieme alle nostre idee e alle nostre proposte (non è vero che eravamo capaci solo di dire no). Tutto dice che avevamo ragione: a partire dal modo in cui sono andate poi le cose.
Quello che a molti non è chiaro – anche tra di noi – è cosa sarebbe successo se a Genova non avessimo perso. Sbaglierei a dire “se avessimo vinto” perché vincere era impossibile e perché in definitiva neppure ci interessava. Ma è certo che se lo sparo di piazza Alimonda, la mattanza fascista del 20 e del 21 luglio, l’indifferenza del resto della sinistra e l’ostilità della cosiddetta gente comune non ci avessero spenti le cose sarebbero andate diversamente. E il mondo sarebbe diverso da quello che è diventato.
Sarebbe diversa l’Europa, molto diversa da questo mercato con i muri alzati verso l’esterno e anche tra un paese e l’altro, da questa casa comune nella quale ognuno pensa a sé e fa i propri interessi.
Ci sarebbe gente un po’ meno ricca (i più ricchi) e gente un po’ meno povera (i più poveri); quelli nel mezzo magari si sarebbero potuti permettere una macchina o una televisione in meno, è vero, ma di sicuro non si sarebbero sentiti mai rispondere che il tempo di attesa per una Tac o per un esame importante è di due o tre mesi. E nella fantascientifica ipotesi della diffusione di una pandemia sarebbero morte parecchie persone di meno.
Fascisti e populisti di tutto il continente non sarebbero diventati tanto popolari, anzitutto perché un po’ più di gente avrebbe compreso che un migrante è una persona, non un pericolo. E poi perché avremmo avuto molte paure in meno, dal momento che senz’altro sarebbero state sganciate meno bombe e di conseguenza molti coglioni sarebbero stati meno motivati a farsi saltare in aria in un posto pieno di gente. La scuola – quella pubblica, dico, che per noi non ne esiste un’altra – sarebbe stata un luogo migliore nel quale mandare i nostri figli, molti dei quali allora erano piccoli o dovevano ancora nascere e non avrebbero dovuto scontare la pena di crescere in mezzo alla paura fabbricata dal potere e all’egoismo figlio dell’ignoranza.
No, non sarebbe stato tutto perfetto: figuriamoci. Ma sarebbe stato un mondo almeno un po’ diverso, proprio quello che immaginavamo quando dicevamo che era possibile. Un posto nel quale magari sarebbe stato più difficile rassegnarsi all’idea che il mercato viene prima della società e che i soldi vengono prima delle persone. Perché è questo che è successo dopo che abbiamo perso noi.
E se vi fate bene i conti, non so quanto sia convenuto anche a voi che ci disprezzavate, che ci avete lasciati soli e che ci avete giudicati colpevoli mentre eravamo lì, con tutti i nostri limiti ma capaci di sognare e di lottare per tutti.
Marco Arturi
– da quasi 3 ore venivano picchiate, massacrate, spaccate, spezzate, indiscriminatamente persone inermi e indifese di ogni età: ragazzi, ragazze, anziani, uomini, donne e anche dei ragazzini con meno di 14 anni, tutte persone che manifestavano pacificamente;
– da circa 2 ore venivano sparati di continuo lacrimogeni ad altezza uomo, contro manifestanti inermi e disarmati, per questo motivo molti di loro SI COPRIVANO IL VOLTO per proteggere naso, occhi e bocca alla “men peggio” e con mezzi di fortuna dai gas nocivi che procuravano orticaria, problemi respiratori, forti bruciori agli occhi ;
– da più di 2 ore vengono fotografati diversi carabinieri intenti a sparare ad altezza uomo colpi che, per puro caso, non feriscono nessuno;
– da più di 2 ore svariate camionette passavano a tutta velocità tra la folla che manifestava, zigzagando fra coloro i quali cercavo di sfuggire;
– da qualche minuto in Piazza Alimonda un defender dei CC è fermo seppur avesse davanti a se una via di fuga (come dimostrano svariate foto e video) e i manifestanti, fra i quali Carlo Giuliani, si trovano a circa 5 metri di distanza dalla stessa;
– da svariati secondi un cc all’interno del sudetto defender impugna una pistola, puntandola ad altezza uomo verso i manifestanti;
– è soltanto allora che Carlo si china per prendere un estintore VUOTO con l’intento FORSE di lanciarlo verso il CC che avrebbe potuto sparare verso qualche manifestante;
– alle 17.21 viene esploso un colpo che colpisce al volto Carlo Giuliani, un ragazzo di 23 anni con l’unica colpa di voler cercare di difendersi;
– da quasi 3 ore, ovunque, manifestanti come Carlo venivano massacrati da carabinieri e poliziotti.
Da 19 anni la maggior parte degli italiani e delle italiane parla a sproposito di Carlo Giuliani ignorando la montagna di prove foto e video che documentano i fatti, ma attenendosi a quell’unica ingannevole foto proposta da tutti i mass media per raccontare un’unica, sola versione distorta dei fatti.
E così anziché guardare la luna, tutti continuano a fissare il dito.
“Che tutte le donne
e tutti gli uomini
sappiano
la differenza
tra una mano che offende
e la resistenza”
#pernondimentiCarlo
Massimiliano Loizzi
Il 20 luglio è sempre quel giorno dell’anno in cui gente che vuole affondare i barconi e augura stupri e invoca bombardamenti viene a spiegarci che Carlo Giuliani era un violento.
Allora, come ogni anno, io ci riprovo: ecco come sono andate davvero le cose (piccolo reminder per coglionazzi: informarsi prima di parlare aiuta sempre).
Ogni anno è la stessa storia: mentre parenti e amici piangono Carlo Giuliani, un branco di idioti inizia a profanare ogni post in suo ricordo: “aveva un estintore in mano!”, urlano. “Stava per uccidere un poliziotto”. “Se l’è cercata!”.
A parte il fatto che Carlo non stava per uccidere nessuno (tornerò su questo, promesso), ciò che forse sfugge a queste persone è che nel giorno della sua morte moltissima gente che manifestava a volto scoperto e disarmata (anzi, vorrei dirvi, SOPRATTUTTO la gente che manifestava a volto scoperto e disarmata) è stata massacrata a manganellate, calci e pugni, è stata pestata a sangue in strada e poi in una scuola, tirata fuori dagli ospedali, alcuni con fratture e ferite gravi, e pestata di nuovo, privata dei più elementari diritti umani, violata in ogni modo. E tutto questo mentre i Black Bloc distruggevano la città indisturbati, intoccati, mai caricati dalla polizia.
Forse voi finti gandhiani che parlate della violenza di sollevare un estintore vuoto, per tirarlo contro una macchina che dieci secondi prima ha tentato di investirvi, non avete mai visto il ragazzino preso a calci in faccia da un gruppo di poliziotti capitanati da Perugini, numero due della Digos: un minorenne ridotto a una maschera di sangue, con un occhio che sembra esplodere. Forse non sapete che tentarono di incriminarlo per “resistenza a pubblico ufficiale e lesioni”. Forse non avete visto in mille video le donne in fuga dagli scontri accolte a manganellate dalle forze dell’ordine. Non avete visto, non avete sentito, la poliziotta che di fronte al cadavere di Giuliani esulta dicendo “uno a zero per noi” e “speriamo che muoiano tutti”. Non avete visto la gente ferma, seduta in terra, le mani alzate, gente di ogni età, che viene picchiata per ore da gruppi di esaltati in divisa. Forse non avete mai visto le immagini di quel padre che viene manganellato mentre tenta di proteggere suo figlio.
Forse ogni volta che parlate di quell’estintore pensate che Carlo Giuliani lo abbia preso così, uscendo dal salotto di casa sua già col passamontagna calato, per il gusto di andarlo a tirare a Placanica. Forse non avete visto tutto ciò che in quei giorni è accaduto PRIMA che Carlo prendesse in mano l’estintore, non avete visto ciò che avrebbe fatto sollevare quell’estintore a migliaia, milioni di persone, non avete visto i caroselli delle camionette che inseguivano la gente fin sui marciapiedi, che acceleravano per investire i manifestanti, non avete visto ragazzi e ragazze intrappolati in un imbuto, picchiati senza alcun motivo per due ore, senza alcuna via d’uscita.
Non sapete tutto questo, non conoscete tutto questo, e allora quel gesto di Giuliani vi pare così illegale, così forte da meritare – abbiate il coraggio di chiamarla col suo nome – un’esecuzione.
Perché certo, siete tutti molto bravi a parlare delle scelte di Carlo Giuliani mentre nessuno manganella i vostri amici o tenta di schiacciarli con un blindato. Tutti bravi coi vostri distinguo. Quando la rete chiama siete tutti Charlie, però incredibilmente fate una gran fatica a essere un ragazzo di 23 anni che reagisce alla mattanza dei suoi amici. Non dico a essere proprio lui, col passamontagna e l’estintore, perché certo, voi siete tutti non violenti e pacifici e quindi ok, presumiamo che in quella situazione avreste reagito come un monaco tibetano in meditazione. Ma se provaste almeno a calarvi in quel contesto, allora capireste subito cosa porta Carlo davanti alla pistola di Placanica, e chi dei due è l’assassino.
Sarebbe il minimo che dovreste fare, per poter parlare di Piazza Alimonda. Ma no. Figuriamoci.
“Io non l’avrei mai fatto”, ripetete ogni anno, dal divano di casa o dal tavolino di un bar, sorseggiando un Campari. Ma ecco, se vi trovaste in una bolgia con le autoblindo che cercano di investire i vostri amici e le vostre amiche, tra le cariche indiscriminate, gli occhi e la gola in fiamme per i gas urticanti usati contro gente inerme, poliziotti che lanciano pietre contro il corteo rischiando di uccidere qualcuno, magari questo amabile distinguo pronunciato con 60 pulsazioni al minuto e tutta la sicumera del mondo potrebbe non essere la prima cosa che vi passa per la mente.
E poi c’è sempre quel piccolo particolare che vi sfugge: forse non vi siete mai accorti che l’estintore Carlo lo prende DOPO che Placanica ha già puntato la pistola contro un altro ragazzo. Dopo, non prima (vi aiuto con questa foto, finalmente dopo 18 anni potete farcela).
Carlo non “se l’è cercata”, come dite voi. Non ha avuto “quel che meritava”.
“Ma lo sta lanciando, sta per uccidere un poliziotto!” No, non è vero. Vi sbagliate di grosso. Vi aiuto di nuovo. Guardate qui: (http://www.avvelenata.it/g8/carlo4b.jpg).
Visto? Bene, adesso che avete la giusta prospettiva potete capire questo: Carlo sta lanciando l’estintore (vuoto, quindi del peso di 3-5 chili al massimo) da una certa distanza. Non ucciderebbe nemmeno un cane di piccola taglia, in quel modo, in venti tentativi.
Certo, voi non vi siete mai trovati in una situazione del genere, quindi avete diritto di non capire, ma avete mai visto, almeno, le cariche dei tifosi contro la polizia allo stadio? Perché lì, ogni domenica, ci sono cose dieci volte più violente e spaventose di quel singolo gesto di Carlo, eppure sono sicuro che se domani venti ultras venissero giustiziati con un colpo alla testa voi stessi non direste mai “se la sono cercata”.
Ma lo so, parlate così perché non conoscete la storia di quei giorni, perché non avete capito, nemmeno dopo 18 anni, cosa è successo durante quel G8, quali orrori hanno spinto Amnesty International a definire gli abusi di Genova “la più grave violazione dei diritti umani in un paese democratico dal dopoguerra”.
Forse non avete visto, non sapete, che dopo averlo ucciso i carabinieri hanno “lavorato” il corpo di Carlo con una pietra, per dare la colpa della sua morte ai “comunisti” che manifestavano con lui. Forse non avete mai visto, non avete mai sentito, il poliziotto che urlava “sei stato tu” a un manifestante che passava di lì. Forse non l’avete mai sentito ruggire “sei stato tu, col tuo sasso!”, e cercare di arrestarlo per dare a lui la colpa e insabbiare tutto (fortunatamente per lui, il ragazzo correva molto velocemente).
Forse non sapete cosa è successo alla Diaz, dove un reparto della polizia ha massacrato gente inerme che dormiva, sfigurato donne, anziani, e ha quasi ucciso Mark Covell, un giornalista inglese, fratturandogli sei costole, perforandogli un polmone, spaccandogli la mano sinistra, polverizzandogli i denti, e lasciandolo a terra senza battito cardiaco (Mark ha avuto bisogno di una trasfusione di un litro e mezzo di sangue e non ha mai recuperato del tutto). Forse non avete mai saputo di tutte le persone orrendamente torturate in quella scuola, non avete mai sentito della schiuma d’estintore spruzzata nelle ferite aperte di uno studente tedesco, non avete mai letto del poliziotto che ha strofinato il suo cazzo sul viso di una ragazza gravemente ferita. Forse non sapete, fingete di non aver mai saputo, delle due bottiglie molotov portate a posteriori nella scuola dalla polizia, prove artefatte che non hanno impedito a quegli agenti di fare brillanti carriere negli anni a venire.
Forse non sapete cosa è successo a Bolzaneto, a gente che non aveva con sé alcun estintore e nonostante questo è scomparsa per ore nel vuoto giuridico di una caserma, è stata seviziata, abusata. Non sapete di quella ragazza cui sono stati strappati i piercing, delle sigarette spente sui corpi degli arrestati, non avete sentito raccontare di quei ragazzi costretti a stare per ore e ore su un piede solo. Non sapete che uno di loro aveva una gamba artificiale e non riusciva a resistere, ed è svenuto. Non sapete che i poliziotti per punirlo gli hanno spruzzato spray al peperoncino direttamente negli occhi, e lo hanno picchiato ancor più ferocemente. Probabilmente non sapete di quei ragazzi costretti a cantare “faccetta nera”, non sapete di quei ragazzi le cui teste venivano sbattute violentemente contro il muro, di quei ragazzi immobilizzati e presi a calci nei genitali, di quei ragazzi cui veniva vietato persino di andare in bagno, e finivano per defecarsi nei pantaloni. Voi non sapete del ragazzo a cui sono state divaricate le dita fino a romperle, scarnificarle strappando la pelle, che è stata poi ricucita senza anestesia. Non sapete della ragazza costretta a infilare la testa nel buco del cesso alla turca, mentre la minacciavano di stupro con un manganello. Voi non avete visto, non avete sentito gli agenti di Bolzaneto che cantavano: “uno, due, tre, evviva Pinochet, quattro, cinque, sei, a morte gli ebrei”.
E però, se non avete visto, se non avete sentito, se non sapete, uno si domanda pure: ma perché cazzo parlate, con che diritto parlate? Con che stomaco andate sulle bacheche di chi piange Carlo Giuliani, e gli rompete i coglioni?
Quale forza perversa vi spinge a venire a violare il nostro lutto, a profanarlo? Ma che razza di persone siete?
(P.S.: qua in inglese, per combattere zucconi anglofoni: https://www.versopolis.com/times/reportage/666/if-you-haven-t-heard-why-the-f-do-you-talk)
Francesco Trento
da https://www.popoffquotidiano.it/2020/07/21/genova-2001-e-importante-ricordare-lodio/
E pure in Piazza Alimonda puoi capire tutto con l’odio. Non solo i due spari, anche il sasso, le menzogne, il processo negato
C’era ancora la lira. Vicino alla sua testa ricordo un biglietto (da diecimila, mi pare). E un accendino. E un sasso… Scusa, l’ho raccontato già molte volte: è a causa di quel sasso che la foto non riesco più a vederla, così non sono sicuro fosse un biglietto da dieci.
Lo skyline di New York era ancora caratterizzato dalle Twin Towers. Poco tempo dopo, dei criminali lo hanno modificato, infilandoci due aerei e uccidendo un sacco di gente.
Mia figlia era appena nata. Il motivo principale per cui io non c’ero, a Genova.
Tutto questo per dirti che le cose erano diverse. E grazie, dirai, son passati quasi vent’anni.
Che è vero. Fa strano pensarlo e non conta poi così tanto. Però è vero…
Oggi c’è l’euro. L’11 settembre fu una tragedia, per tutti quei poveri morti e pure per le conseguenze, che hanno ridefinito la politica internazionale e sconvolto la scala di priorità fra parole come diritti e sicurezza (pochi lo intuirono subito, i più se ne sarebbero accorti negli anni, altri non l’hanno ancora capito).
E oggi mia figlia è matura, qualsiasi cosa voglia dire. In Alimonda poi ci è venuta, con me, in alcuni anniversari.
All’epoca il capitalismo era una crosta di sangue mal coagulato, non puzzava ancora di cadavere. C’era il carrozzone degli otto “grandi”. Vendevano una proposta di mondo già vecchia. Ma, dicevano, “non ci sono alternative”. Non era una novità: “there is no alternative” era un motto della Thatcher. Tutto sommato (e purtroppo) questo non è cambiato. Ma non voglio parlarti di queste cose. Ne ho già scritto.
Oggi ricordo l’odio. Un sentimento esploso nei giorni del G8, ma che affondava le sue radici in profondità. Un disprezzo per chi siamo, per cosa rappresentiamo, talmente vasto da impedire qualsiasi tentativo di capirci.
Sicuramente caratterizzò la Diaz e Bolzaneto. Nella scuola e nella caserma non c’era neppure la debole scusa delle tensioni di piazza (cerca di capirmi: quella non giustifica nulla, chiaro, ma rende possibile una spiegazione, se non altro secondo dinamiche bestiali). I poveracci finiti nei gironi di Diaz e Bolzaneto erano già nelle loro mani, ma questo non ha placato la violenza, la voglia di ferirli dentro, il tentativo di annientarli.
E pure in Piazza Alimonda, se ci pensi, puoi capire tutto con l’odio. Non solo i due spari, anche il sasso, le menzogne successive, il processo negato.
E’ importante ricordare l’odio, capirne il significato profondo. Altrimenti si può finire con l’addebitare quanto accaduto a semplici esagerazioni delle forze dell’ordine. Genova non è stata un’esagerazione, è stata una trappola, sapientemente preparata. Il cui fine era espropriare una generazione della sua proposta politica, in quel momento percepita come possibilità concreta da tanti, guardata almeno con simpatia da molti altri.
Una trappola riuscita. Il ventesimo secolo è finito lì, che a me dei tecnicismi da calendari importa poco, sono solo convenzioni. Il ‘900 si apre con Gaetano Bresci che uccide il re. Finisce con otto despoti chiusi in una cittadella, colpevoli dell’uccisione di un ragazzo e del massacro di un movimento.
Ecco, ti dicevo: non guardo più la foto. Però mi ricordo tutto. Perché voglio. Anzi, no: perché devo.
Francesco “baro” Barilli