Enrico Cervellera, Damiano Rielli e Giuseppe Iaia

Scrivo dei fatti del g8 che ho scoperto e che oggi schifo,
dei torti di quel luglio maledetto c’è il sospetto, lo ammetto,
che tutto sia un copione già scritto e non detto l’autore del soggetto.

Penso ai tanti andati lì sperando di manifestare,
ai giovani picchiati armati solo di ideali,
ma quale “diritto di sfilare” se un tonfa alle spalle ti manda all’ospedale.

Io sono quel dottore, piegato dal dolore,
che impreca e piange ed ha già lo sguardo del terrore,
io son quel ragazzo che fugge dalla piazza
e in sette lo raggiungono e gli spezzano le braccia.

Genova, Genova – io non c’ero ma ci credo
Genova, Genova – che qualcosa è andato storto
Genova, Genova – io non c’ero lì sul porto,
ma Genova, Genova, Genova, Genova…

Vita ne parla quasi fosse stato tutto una partita,
ma dica, in quale sfida onesta ci sta un colpo alla testa
che passa per svista e qualcuno protesta “era fallo di mischia”.
Vedo camionette pazze contro muri di persone,
che fuggono smarrite senza darsi una ragione
e un altro elicottero mi romba sulla testa… e indica la mia posizione.

Io sono quella tipa che cade senza vita,
colpita a morte e chissà dove poi sia finita,
io sono lo straniero picchiato a Bolzaneto
in piedi da trent’ore contro un muro che non vedo.

Rit.

Io sono in quella scuola, col passaporto in mano,
la storia lo chiamerà “macello messicano”,
io sono in quel cortile dove non c’è più luce,
bruciato da mille gas che tagliano la voce,
io sono quel ragazzo che tocca un estintore,
che s’era alzato al mattino e gli batteva il cuore,
io sono quel bambino che alza un estintore
e già non c’è più il colpo nel tuo caricatore