da PILLOLAROSSA
Assi nelle maniche nere: un profilo dei periti che hanno preparato la tomba alla verità su Genova-G8
A cosa servono i periti? Come si diventa perito? I periti *fanno* le sentenze?
4 assi, un mazziere e una matta. Un profilo dei periti che stanno seppellendo la verità sul G8 a Genova. Una partita giudiziaria truccata e senza regole insulta il bisogno di giustizia e verità sulla morte di Carlo Giuliani, sui fatti della Diaz e sulle responsabilità politiche e militari del massacro del G8.
Il ruolo dei consulenti nei procedimenti giudiziari è un elemento che negli ultimi anni ha acquisito sempre maggior peso. Sempre piu’ spesso la colpevolezza o la non colpevolezza degli imputati sono demandate all’esito di una perizia, di un accertamento, all’analisi di un reperto e alla sua interpretazione. Questo e’ diventato sempre piu’ vero, in modo particolare nei grossi processi per fatti di sangue, dal ciclo delle stragi ai delitti mediatici. Per restare solo agli ultimi tempi: Ilaria Alpi, Marta Russo, Vacca Agusta, Cogne.
Sempre piu’ spesso lo scontro tra le parti processuali presieduto da un giudice terzo si trasforma in realta’ in uno scontro tra perizie e periti, e al giudice non *resta* che modulare la sentenza attorno ad un caso risolto dalla *scienza*. E sempre piu’ spesso assistiamo a superperizie, in una rincorsa a porsi, da parte del giudice, sotto l’ombrello protettivo della scientificita’ della prova regina, quella che condanna o assolve oltre ogni ragionevole dubbio. In questo modo, di fatto, un grande potere viene messo nelle mani dei periti.
Ma come si diventa consulente? La domanda non è oziosa.
Se guardiamo i grandi processi seguiti dalla stampa ci si accorge che i nomi dei consulenti che ruotano attorno alle grosse inchieste sono sempre gli stessi, e bastano le dita di due mani per contarli.
Alcuni di questi nomi sono diventati nel tempo famosi. Vediamo di andare a fondo sulle ragioni di questa fama, che si nutre di se stessa: il perito del caso C viene scelto perche’ famoso per aver seguito il caso B; nel caso B il perito era stato scelto perche’ aveva seguito il caso A. Ma come inizia la catena? Esiste un diploma, una certificazione che attesti la qualita’?
Sì e no, dipende. Innanzitutto dalla natura della perizia, dal giudice, dalle possibilita’ economiche nel caso dei periti di parte. E naturalmente dalla materia del contendere. Per le piccole perizie anche il concessionario locale di un marchio puo’ essere nominato consulente. Alla fin fine il perito e’ un esperto della materia a cui si chiede un parere in scienza e coscienza. Non e’ necessario un titolo di studio per stabilire se un rolex e’ autentico oppure una patacca: serve uno che conosca i rolex. Ecco quindi che il concessionario locale della rolex e’ il perito adeguato nel caso della truffa del magliaro. Naturalmente l’opportunita’ della nomina dipende dal quesito del giudice: allo stesso perito non si puo’ chiedere, poniamo, una valutazione che attenga alla bonta’ tecnica dei rolex, serve appunto scienza e coscienza per fare il perito. Non solo sapere, ma essere disinteressato.
Nei casi di delitti di sangue due sono i tipi di esperti particolarmente pregiati: i periti balistici e i medici legali, che intervengono su due lati dello stesso problema. Partiamo da questi.
Una rivista specializzata on-line ci introduce all’ambiente: http://www.earmi.it/varie/periti.htm
In questa pagina sono esposti i problemi inerenti la opportunita’ della scelta e la deontologia professionale del perito, e una lista di specialisti che godono dell’unica certificazione esistente a livello europeo: il diploma della Forensic Science Society convalidato dall’Università della Strathclyde.
Ha validità quinquennale ed e’ rinnovabile dimostrando l’attività svolta nel corso degli ultimi cinque anni.
La Strathclyde University è uno dei soci dell’Enfsi (European network of forensic science institutes), l’organismo che riunisce gli istituti forensi di 18 Paesi europei. Dell’Enfsi fanno parte anche soci italiani. Sono due in tutto, ma importantissimi.
Non si tratta di semplici istituti: uno è l’SPS, Servizio Polizia Scientifica; l’altro è il Racis. Gli uomini del Racis sono circa 300 e sono organizzati in quattro Reparti, ma sono meglio conosciuti come il RIS dei carabinieri.
Ma i *diplomati* FSS italiani, in tutto cinque, chi sono?
Tra di loro troviamo due sorprese: Marco Morin e Domenico Compagnini. Gente famosa.
Due periti estremi. Domenico Compagnini è consulente di parte per Placanica nel procedimento di Piazza Alimonda (ne riparleremo poi), Marco Morin e’ stato un consulente di grido (il gioiello della Procura di Venezia che gli costrui’ attorno un sofisticato e costoso centro ricerche criminologiche) prima che la sua carriera venisse stroncata da un episodio di depistaggio sulla strage di Peteano. La questione è semplice: Morin (passato da ordinovista e uomo dei servizi) viene pescato a strofinare esplosivo su dei reperti, *acconcia* le perizie per depistare le indagini e il giudice Casson lo scopre: sara’ condannato a una pena di oltre tre anni. Un perito infedele, malgrado il pezzo di carta.
Sempre earmi consiglia altri periti che, ancorchè privi del diploma internazionale, vengono giudicati validi. Sicuramente sono *famosi*. Tra di loro troviamo Benedetti, Romanini e Torre. I tre consulenti del PM Franz. (nella lista troviamo anche il colonnello Garofano dei RIS dei Carabinieri).
Andiamo un po’ piu’ a fondo. Seguiamoli nel loro lavoro, presente e passato.
4 assi, un mazziere e una matta
Il primo asso: Marcello Canale
Marcello Canale è direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Genova e lavora all’ospedale S. Martino. Sua è l’autopsia sul corpo di Carlo Giuliani, eseguita nel pomeriggio del giorno 21 luglio 2001, mentre nelle strade della città continuava il massacro dei manifestanti (anche qui si impone una domanda: perchè Carlo viene portato al Galliera, quando l’ospedale S.Martino e’ decisamente piu’ vicino?).
Il tempo di togliere i guanti, e l’ansa batte l’esito, alle 18.09: Carlo Giuliani, il ragazzo ucciso ieri a Genova, e’ morto per un colpo di pistola. E’ il risultato dei primi esami autoptici compiuti sul cadavere nel pomeriggio, dal prof. Marcello Canale e dal dott. Marco Salvi presso l’ obitorio dell’ ospedale Galliera. Il proiettile e’ entrato dallo zigomo sinistro ed e’ fuoriuscito dalla nuca. Si e’ trattato di un solo colpo. Secondo quanto avrebbero accertato i medici, quando la camionetta dei carabinieri e’ passata su Giuliani, questi era gia’ morto. Prossimamente saranno compiuti diversi altri esami tra cui quello tossicologico.
Sulla stampa si troveranno altri dettagli:
quando la camionetta è passata sul corpo di Giuliani, il ragazzo era già morto. Il diretore dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Genova, Marcello Canale, ha dichiarato: “Non ci sono sorprese. Il ragazzo è morto per lo sparo e non a causa della camionetta che lo ha investito, la quale, del resto, non ha fatto grossi danni”
Entro 60 giorni, verrà inviata alla procura una relazione scritta, ma i primi risultati sono già stati comunicati ufficialmente.
http://www.rai.it/RAInet/news/RNw/pub/articolo/raiRNewsArticolo/0,7605,4562^archivio^^,00.html
La perizia di Canale verrà consegnata oltre tre mesi dopo , ma le affermazioni fatte sul momento permettono al Procuratore della Repubblica Meloni di isolare le responsabilita’ al solo Placanica. Cavataio, l’autista, esce cosi’ dall’indagine. Da questo momento il solo imputato diventa Placanica.
Imputato per modo di dire, se è vero che gia’ a ridosso dei fatti il Procuratore Meloni si e’ affrettato a specificare che “L’inchiesta sarà breve. Le immagini che abbiamo visionato sono fin troppo chiare. C’è stato un vero e proprio assalto e i tre carabinieri operavano in una situazione di estremo pericolo. L’accusa è omicidio volontario ma c’è un’ampia possibilità di valutare il tema della legittima difesa”. (Repubblica del 22 Luglio 2001) “La legittima difesa e’ un punto d’ arrivo. Saranno anche approfonditi tutti gli aspetti nel dettaglio che puo’ essere reale, putativa o eccesso colposo in legittima difesa”. (Ansa 21-LUG-01)
Le affermazioni di Canale in sostanza sono 3 e verranno confermate dalla perizia scritta:
- Il proiettile trapassa il capo
- Il proiettile è mortale e la morte è istantanea
- La jeep non fa nessun danno rilevante sul corpo
Si tratta di 3 affermazioni palesemente false.
Sul punto del proiettile trapassante la questione è semplice:
In sede di autopsia la misurazione dei fori ottiene questi risultati: entrata 8 mm, uscita 3 mm. L’ogiva non sara’ mai trovata. Il lato più corto dell’ogiva, il suo diametro, è di 9 mm. Il grosso del proiettile non è quindi uscito (e non sara’ mai repertato, come dovrebbe avvenire in sede di autopsia, malgrado sia visibile un grosso frammento nella TAC).
Il colpo non è trapassante.
Sul secondo punto, la mortalità, la menzogna è ancora più palese per tre ragioni.
- Il colpo entra dallo zigomo ed *esce* dalla nuca e quindi non tocca il cervello, se trapassante. In questo caso non si puo’ parlare di morte istantanea.
- Lo zampillo di sangue (la jeep è già passata due volte sul corpo) testimonia di attività cardiaca. Nei filmati di vedono distintamente le pulsazioni. I primi soccorritori dichiarano una debole attività cardiaca.Carlo muore quindi dissanguato e per traumi interni in un arco di tempo di minuti.
- Esistono dei protocolli rigidi che definiscono la morte. http://www.aitn.it/Professione/DM_22_ago_94.htm
Se il cuore batte non c’e’ evidentemente morte. Ma anche se il cuore non battesse sarebbero necessari almeno 20 minuti di ECG e il silenzio elettrico cerebrale per dichiarare morto il soggetto. In sede di autopsia Canale non poteva fare quell’affermazione. E’ una affermazione incongrua. Il solo modo di parlare della morte misurandola in secondi e’ il presente. La morte certa si declina al presente. Se si usa il passato serve il condizionale e la morte diventa probabile entro una forchetta di tempi.
Il terzo punto è smentito in primo luogo dal buon senso (un defender di 2 tonnellate non puo’ non provocare danni seri arruotando due volte un corpo molto esile), ma anche dalla posizione innaturale delle gambe, che testimonia gravi danni al bacino. Nei filmati i manifestanti prendono per le gambe Carlo e cercano di trascinarlo per poco, le gambe sono chiaramente disarticolate.
L’inchiesta si blocca subito a Placanica, con la piega light che abbiamo visto, grazie a queste prime mosse di Marcello Canale, grazie a queste affermazioni false, ribadite nella relazione peritale depositata mesi dopo.
In quella sede viene anche depositata una perizia sui danni subiti dal Placanica: 20+9 giorni.
Manica larga, visto che il pronto soccorso dell’ospedale Galliera (che aveva visitato per primo Placanica) aveva emesso una prognosi di 7 giorni nell’immediatezza dei fatti.
Marcello Canale
Canale studia la sacra sindone a Torino, e’ un sindonologo famoso per le sue ricerche. La sindonologia e’ una scienza *estrema*, che sta tra fede e deontologia, tra intime convinzioni religiose e metodo scientifico. In queste indagini, che andarono oltre la semplice datazione per spingersi verso la genetica divina, Canale fece *scoperte* che destarono un certo scalpore: nell’ambiente a meta’ anni ’90 si arrivo’ a parlare di DNA di Dio, come per l’omonimo, e contemporaneo, libro di Garcia Valdes.
La questione dell’autenticita’ della sindone e’ annosa: e’ stata datata al XIV secolo da un pool di 40 superesperti a fine anni ’80. L’esito fu allora serenamente accolto a Torino dal cardinale Ballestrero, ma i sindonologi *autenticisti* non si sono arresi: Canale perseverando nelle ricerche sul Dna, il collega Balossino, di cui si dira’ fra poco, trovando immagini.
Tracce di questa attività di Canale si trovano in questa pagina (si tratta per altri versi di cose tra iniziati, ma e’ interessante l’approccio logico del consulente):
http://www.tombofjesus.com/thednaofgod.htm
We have extracted the DNA present on these tiny threads and have amplified this with a chain reaction that allows us, via a particular enzyme, to keep on replicating the DNA an infinite number of times. It is a method that can be used even in the case of a single cell
The DNA chain is very long, and we are able to identify very small sectors representing individual characteristics which can ultimately enable us to identify the individual from whom they derive.
Sono affermazioni abbastanza impegnative di Canale, alle quali sensatamente e con garbo british viene ribattuto:
We have no idea how Professor Marcello Canale would identify the individual from whom they derive, unless he were able to find a sample of DNA to compare with the Shroud DNA sample.
Infatti l’affermazione di poter identificare un individuo tramite il suo DNA è priva di senso.
Suona bene, sembra un’ovvietà, ma è priva di senso. E’ affascinante per chi vuole crederci, ma e’ inconsistente.
Per identificare un individuo tramite il suo dna devi avere un secondo dna da confrontare e di cui sei certo.
E’ una affermazione incongrua e non vale quello sbrigativo ultimately a mitigarla, semmai è un’aggravante.
Se hai una copia del dna del signor Gesu’ Cristo o di un suo discendente (ma non ne risultano) e corrisponde a quella della sindone ecco che potrai dire che la sindone ha toccato probabilmente il corpo di Gesu’ Cristo o di un altro suo discendente.
La suggestione e le convinzioni personali giocano brutti scherzi. Portano a conclusioni affrettate, che suonano credibili, ma che sono inconsistenti e quindi sul piano scientifico false.
L’affermazione che Carlo Giuliani era morto prima di essere investito dal defender e’ falsa non solo perche’ ci sono foto e testimoni del battito del cuore. E’ falsa in radice, nella sua formulazione. Nei suoi presupposti scientifici, in analogia con l’affermazione sul DNA della sindone. Non e’ possibile fare un’affermazione del genere perche’ non esiste esperibilità scientifica.
Il soggetto e’ morto quando oltre al cuore e’ elettricamente silente il cervello, come previsto dalla legge. La morte certa si declina al presente. Un’autopsia non puo’ dimostrare la morte con l’esattezza al decimo di secondo, e attribuirla ad un momento istantaneo antecedente di 24 ore.
Dovrebbe invece stabilire le cause di morte e repertare gli oggetti che la provocano, è questo il compito principale.
Invece il proiettile non esce se non in minima parte, e non viene repertato. Si smarrisce.
Una impossibile precisione sugli orari di morte e una incredibile mancanza (la non repertazione della parte di proiettile certamente ritenuta).
Il primo asso giocato porta quindi alla nascita di una indagine monca. Sparisce la pallottola e tutto viene isolato al solo Placanica.
Il secondo asso: Nello Balossino
Nello Balossino e’ un esperto in ricostruzioni tridimensionali al computer. Anche lui e’ un sindonologo *autenticista*, discepolo del celebre Giovanni Tamburelli. Con Pierluigi Baima Bollone (direttore del Centro di Sindonologia di Torino, e direttore dell’Istituto di Medicina legale di Torino, lo stesso dove lavora il dottor Carlo Torre) scoprono nel ’96 un’iscrizione di pochi millimetri, che sarebbe traccia di una moneta appoggiata sull’occhio sinistro del volto sacro: una data che proverebbe l’autenticita’ del telo.
Altre pregnanti questioni di cui il nostro si e’ occupato sono la veridicita’ del celeberrimo video con *l’autopsia dell’alieno* che circolo’ qualche anno fa e la presunta scoperta dell’arca di Noe’
ARCA DI NOE’ SOTTO GHIACCI DELL’ARARAT PER STUDIOSO ITALIANO
(ANSA) – PARIGI, 24 SET 2001- Per la prima volta in Francia sono state mostrate le foto di quella che dovrebbe essere l’Arca di Noe’, imprigionata nei ghiacci dell’Ararat: lo studioso italiano Angelo Palego ha presentato al Centro Ceshe di Montmartre i risultati di 17 anni di ricerche e la documentazione fotografica della sua ultima spedizione in Turchia, portata a termine il 5 settembre … Un professore di informatica dell’Universita’ di Torino, Nello Balossino, ha recentemente dichiarato che la scoperta di Palego e’ plausibile: analizzando una foto scattata dal satellite francese ”Spot”, nella zona indicata da Palego c’e’ effettivamente un oggetto di forma rettangolare non compatibile con i rilievi della roccia che corrisponde alle dimensioni dell’Arca come sono riportate dalla Bibbia.
Dicevamo che Nello Balossino partecipa alle indagini sulla sindone. Sentite l’analisi del volto sindonico:
http://www.geocities.com/Athens/Delphi/9077/s_5.htm
Tumefazioni, ematomi, sul lato destro, all’altezza dello zigomo, altre tumefazioni sullo zigomo sinistro, una ferita lunga circa 6 centimetri sul sopracciglio destro e una seconda, un po’ più piccola, su quello destro, forse dovute ai pugni inferti, questi tagli infatti emergono in un insieme di ematomi, lesioni e contusioni varie. Gli occhi sono chiusi e infossati. Il naso, con tutta probabilità, è rotto e ha una vistosa ferita sull’arcata. Si distinguono oltre una trentina di rigoli di sangue sulla fronte e sulla nuca, che hanno determinato un abbondante sanguinamento.
Notevole, se tenete presente che questa analisi è derivata dalla ricostruzione al computer del volto di un uomo scomparso centinaia (o migliaia) di anni or sono e di cui resta una immagine confusa. Dovrebbe essere uno scherzo per Balossino analizzare la grave ferita non sanguinante che si è misteriosamente prodotta sulla fronte di Carlo dopo la sua morte.
Il fatto è che spesso lo studioso subisce il fascino dell’oggetto di studio, del suo ‘peso’ semantico, del suo mistero.
Continua il nostro:
Misteri che a volte viviamo anche noi qua dentro, nel nostro piccolo. Per esempio immagini a computer che avevo cancellato e che sono ricomparse. Non solo: immagini che naturalmente possono essere visualizzate solo entrando nel programma e che invece appaiono sul monitor semplicemente accendendo il computer. E’ accaduto, il tutto è durato 10 secondi e poi naturalmente l’immagine è scomparsa. Non ero solo, con me c’era la mia assistente, e pur credendo di avere le traveggole l’abbiamo visto tutte due. Altre volte invece sono scomparse. Con questo non voglio dire che ci sia del misterioso, ma certamente mi lascia quanto meno perplesso come si comporta l’immagine sindonica scientificamente. E’ una immagine che ha delle caratteristiche che non hanno le altre immagini.
Di immagini Balossino si occupa anche per i fatti di piazza Alimonda, analizza il video di Luna Rossa, decide che e’ possibile intuire il momento in cui il proiettile impatta col calcinaccio, e ne relaziona al pm. Intuire, non vedere, infatti non si vede nulla:
“
si verifica lo sparo; in modo quasi istantaneo il calcinaccio, fuori dall’inquadratura della telecamera, viene colpito
il calcinaccio colpito, e’ ancora esterno all’area di visualizzazione della telecamera
il calcinaccio entra nell’area di ripresa della telecamera ed e’ interessato dal fenomeno di disaggregazione che pero’ e’ confinato nella parte non visibile dalla telecamera
.“
Balossino si esibira’ inoltre in una serie di dichiarazioni in progress sulla distanza tra Carlo e il defender: dagli iniziali 50 cm ai quasi tre metri finali, attraverso tappe intermedie. Un adeguamento progressivo che coincide e si adegua alle trovate degli altri colleghi.
Il terzo asso: Carlo Torre
Carlo Torre è un consulente centrale nell’inchiesta sui fatti di Pzza Alimonda. E’ medico legale, specializzato in residui di sparo. Partecipa a molti casi importanti: Mattei, Ilaria Alpi (con Benedetti), Castellari, Vacca Agusta (con Canale), Marta Russo (con Romanini ), Cogne. Ha fama di persona schiva.
E’ Carlo Torre ad avere *l’intuizione* del calcinaccio che devia il proiettile di Placanica, secondo quanto Paolo Romanini dichiara al Manifesto: “
il discorso del sasso nasce nella parte analitica di Torre, è stato lui a tirarlo fuori, non io, e il Balossino ha poi lavorato sulle immagini“.
Questa cosa in effetti è un po’ strana: Torre non è un balistico terminale, ha un’altro skill, la sua specialità sono i residui di sparo. Il fatto strano è che il balistico è proprio Romanini che è anche il coordinatore del gruppo.La *parte analitica* a cui Romanini fa riferimento e’ il famoso episodio del ritrovamento da parte di Torre di un frammento della camicia del proiettile impigliato nel passamontagna di Carlo, ben un anno dopo i fatti. Su questo frammento Torre rileva la presenza di particelle di antimonio e bario “incompatibili” con residui di sparo. Probabilmente – osserva – potrebbe trattarsi di sostanze proprie di pigmenti utilizzati nelle verniciature industriali. Per Torre e’ la prova che prima di colpire Carlo il proiettile (mai ritrovato) si e’ frantumato impattando contro qualcosa. Si, ma cosa? L’estintore, ipotizza inizialmente, ma dopo averlo sperimentalmente bersagliato di colpi esclude l’ipotesi per passare alla famigerata *teoria del calcinaccio*. Nonostante tutte le immagini dicano il contrario, Torre arriva a sostenere che Placanica ha sparato in aria, ha colpito un sasso, e, per un caso sfortunato, un pezzo del proiettile che in quel momento si e’ rotto ha trapassato la testa di Carlo Giuliani. A questa stravagante ipotesi l’esperto in immagini *Nello Balossino* cerchera’ poi di fornire un riscontro.
Torre non è nuovo a colpi di scena in processi delicati. Due di questi casi meritano di essere citati: lo strano suicidio di Castellari e il caso Alpi.
http://www.ansa.it/speciali/specialbuilder/20020626142232264587.html
25 GIUGNO 1996 – per la seconda perizia balistica il colpo contro Alpi fu sparato a bruciapelo da una certa distanza. Alla stessa conclusione arriva la terza perizia il 18 novembre 1997. Per i periti si tratto’ di un’esecuzione.
http://www.tempi.it/archivio/articolo.php3?art=1058
14 Luglio 1999 Nuove rivelazioni sul caso Alpi Secondo le nuove perizie condotte da Pietro Benedetti e Carlo Torre e presentate al processo contro il somalo Omar Hashi Hassan, la giornalista italiana Ilaria Alpi, assassinata a Mogadiscio il 20 marzo 1994, non sarebbe stata uccisa da un colpo di pistola sparato a bruciapelo, bensì sarebbe stata colpita da distanza “non breve”. Le nuove perizie, perciò, smentirebbero l’ipotesi dell’*esecuzione* compiuta con un colpo alla testa.
Il lavoro di Torre e Benedetti non modificherà le cose, ne’ la percezione dei fatti da parte di tutti quelli che hanno seguito la vicenda. Quella di Ilaria Alpi rimane un’esecuzione. E’ pero’ singolare notare che anche in quel caso viene reperito un frammento di proiettile strano. Si tratta di un frammento che dovrebbe trovarsi in un posto ed invece si trova in un altro.
http://www.ilariaalpi.it/article.php?sid=71
Solo il 23 aprile scorso (1999 nota mia) emerge un nuovo, sconcertante elemento. Famiglia Cristiana rintraccia un operatore (autore delle prime immagini girate dopo il delitto), mai sentito prima dagli inquirenti: Francesco Chiesa, che rivela che il frammento del proiettile rinvenuto nell’auto dei giornalisti non fu trovato sul sedile posteriore (accanto alla Alpi), ma su quello anteriore, dove si trovava Hrovatin. Sono da rifare anche le perizie?
E’ vero. Quando le perizie sono troppo strane, quando ci sono troppi colpi di scena, si dovrebbero rifare. Magari affidandole ad altri periti.
Il caso Castellari è ancora più strano.
Nel febbraio del ’94 viene trovato morto sulla collina di Sacrofano Sergio Castellari, ex direttore generale delle partecipazioni statali. Immediatamente si parla di suicidio, ma la perizia tecnico-balistica, disposta dal pm ed effettuata dall’ingegner Averna, sottolinea alcune stranezze che fanno pensare più all’omicidio (come riportato in un ANSA dell’epoca):
… A quanto si e’ appreso, secondo Averna, alcuni elementi, come il ritrovamento del cane della pistola alzato, la collocazione dell’arma (una Smith and Wesson 38) nella cintura dei pantaloni e anche la possibilita’ che dalla pistola possano essere stati esplosi due colpi, rendono piu’ verosimile la tesi dell’ omicidio…
Nonostante questi elementi, la contemporanea perizia medico-legale, eseguita dai professori Carlo Torre e Roberto Testi e consegnata nell’agosto del ’94, arriva alla conclusione che:
… la natura delle lesioni riportate da Castellari sono compatibili con l’ipotesi del suicidio, ma il fatto che il proiettile (mai ritrovato) abbia toccato una zona del cervello (mesencefalo) che se lesa paralizza ogni attivita’ motoria (quindi anche il ricarico dell’ arma e la sua collocazione nella cintura) porta a non escludere la tesi dell’ omicidio…
Insomma, con le dovute riserve, Torre e Testi dicono che per loro si tratta di suicidio.
Del caso Castellari si è occupata a lungo la stampa e una ricostruzione dei fatti in una trasmissione televisiva mise in dubbio le conclusioni dei periti. Forse anche per il clamore sucitato da quella trasmissione viene disposto un supplemento di indagine, affidato agli stessi periti, i quali consegnano nel dicembre ’94 le loro conclusioni; l’ANSA ne riporta alcuni stralci:
… il colpo di pistola mortale fu esploso dalla Smith & wesson calibro 38 trovata infilata nella cinta dei pantaloni di Castellari con il cane alzato…
… Sergio Castellari mori’ a causa di un colpo di pistola sparato ”a contatto” della tempia destra e le modalita’ della sua morte sono piu’ compatibili con il suicidio.
Cio’ non toglie, tuttavia, che un omicidio possa presentare tutte le caratteristiche del suicidio…
Amicus Plato, sed magis amica veritas scrive Enrico Deaglio su Diario (http://www.diario.it/cnt/articoli/inchieste/articolo281.htm) a proposito di Carlo Torre, che sembra conoscere bene. Quando si convince di una verità Torre la porta fino in fondo senza guardare in faccia a nessuno, per quanto possa essere paradossale. Per quanto illogica.
Per tornare a P.zza Alimonda bisogna dire che il PM Franz non è proprio soddisfatto del lavoro dei suoi consulenti. Non lo usa a fondo. Lo butta li’… dice che non è rilevante e che sono altre le ragioni per cui chiede l’archiviazione.
Torre non rimane *disoccupato* a lungo e si sposta di poco: da consulente del PM a perito del GIP in un procedimento gemello che riguarda Genova.
G8: DIAZ; CASO NUCERA, PERITO GIP, TAGLI COMPATIBILI
SI PROFILA COLPO DI SCENA PER UDIENZA DEL 16 APRILE
(ANSA) – GENOVA, 9 APR – Si prospetta un colpo di scena nell’ udienza preliminare che si terra’ il 16 aprile prossimo sul caso dell’ agente di polizia Massimo Nucera che racconto’ di essere stato aggredito e colpito con un coltello durante l’ irruzione nella scuola Diaz, nel luglio 2001 alla fine delle manifestazioni del G8. Nella perizia ordinata dal Gip, infatti, il perito Carlo Torre, dell’ Istituto di Medicina Legale di Torino, ammetterebbe che le lacerazioni sul giubbotto sono compatibili con la terza ricostruzione dell’ aggressione resa dall’ agente il 7 ottobre 2002, fatta ai pm Enrico Zucca e Albini Cardona
Riassumiamo: Nucera ha un taglio sulla giacca, e uno sul giubbetto che porta sotto, racconta di essere stato accoltellato, da chi non si sa, non e’ stato identificato. I Ris di Parma dicono che i due tagli non sono compatibili col suo racconto (prima e seconda testimonianza), infatti sono a X. Alla terza testimonianza, Nucera dice di essere stato accoltellato due volte. E a questo punto Torre dichiara compatibili i tagli col racconto. Potenza delle perizie.
E’ curioso questo spostamento di consulenze dal processo per P.zza Alimonda al processo per i fatti della Diaz. Anche se teniamo conto dello skill specifico di Torre che è quello dei residui di sparo, che e’ terreno raffinatissimo di analisi su particelle e residui di combustione. Quella che a prima vista puo’ sembrare una stranezza, di fatto porta però ad un esito scontato: lo scontro tra Torre e il colonnello Garofano del RIS di Parma.
Quella di Torre che smentisce i RIS è una costante, che nel caso Cogne ha avuto il suo punto culminante.
E’ un duello che si protrae da tempo. Era davvero il medico legale Torre, esperto in residui di sparo, il consulente adatto ad una perizia tanto delicata?
Nemicus Garofano, sed magis amica veritas?
Il quarto asso: Pietro Benedetti
Pietro Benedetti è capo del balipedio del Banco nazionale di prova (L’ente nazionale di certificazione delle armi) di Gardone Val Trompia.
Un buon risultato per un perito industriale. Per una coincidenza a Gardone Val Trompia il comandante della compagnia dei Carabinieri è quel Francesco Marra che col grado di tenente si è distinto in Somalia al fianco di Truglio, Leso e Cappello, nel gruppetto che ha trovato citazione nei diari del Maresciallo Aloi per fatti poco edificanti (violenze alla popolazione).
Benedetti tra i periti è quello che vanta forse maggiore anzianità di servizio.
1981 Istruttoria sulla colonna romana delle Brigate Rosse, 1984 Indagini omicidio Pecorelli / banda Magliana, 1988 Omicidi Tarantelli, Ruffilli e Conti, 1989 Perizia in merito ai fatti di via Zabarella, a Padova: due missini uccisi dalle BR, 1992 Pacciani, 1992 Uno bianca (tre carabinieri massacrati al Pilastro), 1993 Sismi, colonnello Federico Mannucci Benincasa, 1996 Ancora Pecorelli/Magliana, 2000 Omicidio di Samuele Donatoni, ucciso in un conflitto a fuoco durante un’operazione organizzata per liberare Giuseppe Soffiantini.
Nel 1997 e’ consulente nel processo per l’uccisione della crocerossina italiana Maria Cristina Luinetti, Somalia, 9 dicembre 1993, operazione Ibis.
Nel 1999 accetta nel corso della 23ma udienza del caso Alpi l’incarico per l’ accertamento del calibro del proiettile che uccise la giornalista e che era conficcato alla base del collo. A lui si affianchera’ Torre, che dall’ esame dei residui di sparo dovra’ risalire alla distanza dalla quale fu sparato il colpo. Il collegio peritale deve anche comparare il proiettile che uccise Hrovatin con quello che ammazzo’ la Alpi (Ansa).
Orbene, uno dei quesiti principali dal punto di vista balistico nei fatti di P.zza Alimonda e’ la questione della pallottola che entra regolarmente nello zigomo di Carlo e poi diventa un mistero. Non esce del tutto, non provoca grandi danni, non sembra avere massa rilevante. Una pallottola atipica che, a ben vedere, sta alla base di tutte le capriole logiche dei periti del PM. Sappiamo da fonti bene informate che effettivamente i 4 periti si sono a lungo interrogati sulla ragione di questo conportamento strano e con loro anche i periti della parte lesa, per non dire dei periti di Placanica. E’ evidente (e tutti lo riconoscono) che la pallottola si frantuma, e un 9 mm FMJ non si dovrebbe frantumare. Tutto quello che viene inventato, in modo a volte persino paradossale, gettando il cervello oltre l’ostacolo, serve a giustificare la frantumazione del proiettile.
Perchè delle due l’una: o il FMJ d’ordinanza incontra un ostacolo molto duro che lo lesiona seriamente (poi rimangono comunque altri punti interrogativi) oppure il proiettile è difettoso.
Esiste una terza ipotesi di cui si è parlato: che NON si trattasse di un 9mm FMJ d’ordinanza. Questa ipotesi è sinora l’unica che permette di far quadrare tutti gli aspetti balistici dell’evento. Si tratta evidentemente di una ipotesi che getta una luce sinistra sulla gestione dell’ordine pubblico a Genova ed è naturale che i periti dei carabinieri (ma non quelli del PM) non la sollevino.
Ricordiamo a margine che ci sono state altre perizie riguardanti i due bossoli ritrovati a piazza Alimonda: la prima, affidata a Cantarella, perito d’ufficio di Franz, stabili’ che il bossolo trovato sul defender era compatibile con la pistola di Placanica all’80%, quello sul selciato al 10%. Una nuova perizia, affidata da Franz alla Scientifica di Palermo, stabili’ poi che entrambi i bossoli provenivano dall’arma di Placanica. Cantarella corresse tempestivamente la sua analisi: il secondo bossolo divento’ compatibile con l’arma al 60%.
Ma restando all’ipotesi del proiettile FMJ (Full Metal Jacket, ovvero con rivestimento di metallo) o il proiettile si incrina per una qualche ragione contro un ostacolo, oppure è difettoso.
E’ davvero Benedetti il perito adatto ad *incrinare* la credibilità di uno dei principali fornitori dell’esercito italiano? Puo’ in tutta coscienza il direttore di uno dei nodi della filiera delle munizioni (praticamente quello del controllo di qualità) esaminare serenamente e in coscienza questo aspetto?
Amicus Fiocchi, sed magis amica veritas? Forse non puo’… forse e’ cosi’ che tra le tre ipotesi di frantumazione del proiettile (fuori ordinanza, difettoso, che rimbalza) viene scelta la meno probabile, l’ultima. Quella che fa uscire dalla bocca dello stesso Benedetti un’affermazione sconsolata e forse involontariamente ironica: *Passeremo alla storia per questa perizia*.
Il mazziere: Paolo Romanini
Quello di Romanini è forse l’aspetto piu’ scandaloso dell’intera vicenda. E’ a lui che il PM Franz si rivolge direttamente per la consulenza. Poi lui compone la sua squadra di *assi*, ma è lui il perno della squadra, il consulente capo, il mazziere.
Romanini è nato a Parma nel 1954, è fondatore e direttore della rivista specializzata Tacarmi, ed è considerato tra i principali esperti di balistica in Italia, viene descritto come un professionista di massima fiducia della Benemerita, “con i cui ranghi – raccontano alcuni esperti – ha mantenuto da sempre un rapporto di ampia collaborazione” (Voce della Campania )
Non sappiamo in che termini si sviluppi la collaborazione fra Romanini e l’Arma dei carabinieri, sappiamo bene invece quello che pensa dei fatti di piazza Alimonda: “… Carlo Giuliani è stato ucciso da un suo coetaneo terrorizzato e ferito, mentre infieriva con inaudita violenza contro un mezzo dei Carabinieri, cercando con tutto se stesso di arrecare danno e nocumento ai militari…“.
Cosi’ Romanini in un editoriale sulla rivista Tacarmi del settembre del 2001, cioè due mesi dopo il G8 e cinque mesi prima di ricevere l’incarico dal PM Silvio Franz.
Romanini non si risparmia: “Qui la cosa si prestava allo scopo, tutto era perfetto, il frangente, gli attori, la scenografia. Cosi’ il banchetto degli avvoltoi griffati e’ iniziato, a cadavere caldo, con il sangue che ancora colava; finalmente un martire, un buono ucciso da squadracce repressive e violente guidate dai grandi burattinai. Finalmente uno sbirro assassino!“.
La logica e la correttezza avrebbero voluto che Romanini, viste le sue convinzioni, espresse in un editoriale nella rivista che dirige, rinunciasse alla perizia, o che il pm si ponesse dei dubbi sull’opportunita’ della nomina. E invece non succede nulla di tutto questo. Anzi, un consulente notoriamente vicino all’Arma viene nominato a capo di una squadra che deve affiancare il PM su indagini attorno ad un reato commesso da appartenenti all’Arma.
La matta: Domenico Compagnini
Compagnini e’ uno dei pochissimi italiani a possedere il diploma della *Forensic Science Society*. La sua carriera viene cosi’ definita dall’ Ansa: “il professor Domenico Compagnini, insegnante di applicazione tecnica in pensione divenuto per hobby esperto balistico“. E’ il consulente di parte per Placanica.
Compagnini riceve numerosi incarichi, in processi molto delicati e il suo lavoro è oggetto di critiche anche pesanti: Claudio Fava, giornalista ed ex deputato della ”Rete”, figlio di Giuseppe Fava, il giornalista ucciso a Catania nel 1984, il 2 marzo del 1994 ha presentato un esposto alla procura di Catania per sollecitare che la perizia balistica su un’ arma sequestrata ad Aldo Ercolano non venisse affidata a Compagnini, affermando che ”l’operato del tecnico non e’ trasparente”.
La faccenda si e’ conclusa cosi’:
(ANSA) – CATANIA, 2 NOV 99 – La procura di Catania, a meta’ degli anni Novanta, chiese e ottenne l’archiviazione del fascicolo del perito balistico Domenico Compagnini, indagato nell’ ambito dell’ inchiesta sulla cosca Santapaola. A conclusione delle indagini Compagnini ha continuato ad essere nominato come perito d’ ufficio in delicati processi come quello per l’ uccisione dell’ avvocato Serafino Fama’, per il delitto del giudice Livatino e per l’ omicidio del sindaco di Firenze Lando Conti, ucciso dalle Br nel 1986. Il primo a parlare delle frequentazioni tra Compagnini e la famiglia Santapaola fu il collaboratore di giustizia Antonino Calderone: il perito e il capomafia – sostenne il pentito – erano tanto amici da essere anche soliti andare a caccia insieme. Un altro collaboratore che parlo’ di Compagnini fu Antonio Chiavetta, che lo accuso’ di avere sostituito, durante una perizia, un proiettile esploso da un’ arma utilizzata per compiere un omicidio da Enzo Santapaola, nipote del capomafia Nitto. Tutte le accuse non trovarono alcun riscontro e la procura dispose l’ archiviazione del caso, che fu accolta dal Gip di Catania. Domenico Compagnini e’ ritenuto uno dei periti balistici di maggiore esperienza che operano in Italia. Della sua abilita’ si servi’ anche il boss Benedetto Santapaola che lo nomino’ perito di parte nel processo per la strage in cui mori’ Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Certo, il fascicolo e’ stato chiuso e le affermazioni dei collaboratori di giustizia vanno adeguatamente considerate, ma il nome di Compagnini continua a sollevare perplessita’.
Il perito compare anche negli ultimi sviluppi del processo Calabresi e anche in questo caso, al suo nome si fanno gli stessi pesanti accostamenti. Ancora l’Ansa:
Pur ribadendo ”l’eventuale e motivata impossibilita’ tecnica di pervenire ad un risultato certo”, i tre periti balistici della corte d’appello di Venezia i periti hanno sostenuto in aula che ”non ha trovato riscontro” l’ipotesi che i due proiettili repertati nell’inchiesta sull’omicidio Calabresi siano stati sparati da due diverse armi. Tesi quest’ultima sostenuta dai consulenti della difesa, che nella domanda di revisione aveva anche sostenuto una provenienza non documentata del secondo proiettile (refertato in ospedale) o, comunque, una successione diversa dei colpi e l’uso di una pistola a canna corta (e non lunga come riferito da Marino). L’avv. Alessandro Gamberini, che guida il collegio di difesa, ha ricordato che il perito viene citato ”per una attivita’ di favoreggiamento verso alcuni membri di un clan” nel libro di Arlacchi ‘Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone‘.
Anche quello di Domenico Compagnini e’ un altro nome che compare con una certa frequenza in molti di quei processi tanto scrupolosamente seguiti dai media. Nel processo Marta Russo inserisce un “colpo di scena”. Scena che naturalmente e’ da condividere con l’onnipresente Torre:
http://incal.net/ftp/testi/misteriditalia/8/numero8.doc
In sede di processo d’Appello, i procuratori generali Luciano Infelisi ed Antonio Marini, entrambi con un lungo passato in quella stessa procura di Roma dove ancora lavorano Ormanni e Lasperanza, hanno voluto calcare la mano, mostrando certezze incrollabili al termine di un dibattimento unicamente indiziario in cui protagoniste assolute sono state le perizie, o meglio la continua confusione creata dai periti del tribunale.
L’ultimo colpo di scena si era avuto l’11 gennaio scorso quando, rettificando il suo stesso lavoro, il perito balistico nominato dalla corte, Domenico Compagnini, aveva cambiato idea. In un primo momento (perizia consegnata il 4 gennaio 2000), Compagnini aveva rintracciato 27 possibili traiettorie compiute dal proiettile che uccise Marta Russo: 10 partivano dalla finestra dell’aula 6 (quella, per intenderci, dove secondo le testimonianze Lipari e Alletto, si sarebbero trovati Scattone e Ferraro), 6 dalla finestra del bagno dei disabili e altre 11 da entrambe. Una settimana dopo, lo stesso Compagnini aveva rettificato: delle 27 traiettorie possibili, 6 erano riconducibili alla finestra dell’aula 6, altrettante al bagno dei disabili, mentre 15 indicavano in entrambi questi luoghi il punto da dove sarebbe stato sparato il colpo mortale. Va ricordato che in primo grado, il perito della corte, il prof. Carlo Torre, aveva assegnato “una più accentuata compatibilità” alla finestra del bagno dei disabili, al piano terra della facoltà di Giurisprudenza.
Il dato fondamentale e conclusivo della perizia Compagnini rimarcava, comunque, l’impossibilità tecnica di pervenire ad un dato certo.
In conclusione: possibile che l’arma dei carabinieri non fosse in grado di fornire un perito meno chiaccherato? Meno esposto?
Scienza e coscienza? O partita truccata?
All’interno di questa comunità ristretta di super specialisti si giocano i destini dell’indagine su P.zza Alimonda. La storia delle perizie, della loro costruzione in progress, dei continui colpi di scena che arrivano a sfiorare il ridicolo, è la storia stessa del tentativo di chiudere con un nulla di fatto le indagini. Di non arrivare alla verità.
Torniamo per un momento all’articolo iniziale di earmi http://www.earmi.it/varie/periti.htm .
Edoardo Mori, il direttore, indica alcuni pericoli insiti nelle consulenze dai quali i giudici devono guardarsi:
…
E non succederebbero tanti guai se ogni perito sapesse esattamente quale è il suo livello di competenza e non andasse oltre. Invece è del tutto normale vedere colonnelli di artiglieria che non hanno mai visto esplosivi in vita loro, accettare perizie su bombe, esplosivi, materiale pirotecnico, con assoluta ignoranza di causa; è normale trovare ingegneri e geometri che discettano di diritto delle armi, che ottengono perizie importanti e profumatamente pagate, ma i quali dichiarano che un proiettile di piombo è un proiettile di acciaio perforante perché non hanno mai sezionato un proiettile in vita loro. E altrettanto normale è vedere che i giudici affidano perizie che coinvolgono interessi rilevantissimi a certi periti, solo perché un collega gli dice che quello è un perito, senza preoccuparsi di chiedergli quali esperienze specifiche egli abbia, ed a quale livello, e senza informarsi se per caso quel dato perito non abbia già fatto delle figure barbine in tribunale.
Se, come è avvenuto a me nel corso di alcuni decenni, si fossero seguite le vicende di molte perizie su armi ed esplosivi, si resterebbe esterrefatti per il numero di errori giudiziari, talvolta rimediati in appello, talvolta mai rimediati, che sono stati causati da periti incompetenti, spesso al limite della ciarlataneria. Ed alcuni di questi, in certe zone d’Italia, “vanno per la maggiore”, come suol dirsi.
In genere i difetti che si riscontrano nei cattivi periti, oltre naturalmente alla scarsa conoscenza della materia ed alla improvvisazione, sono:
– il non voler comprendere ed ammettere di essere incompetenti
– l’eccessivo servilismo alle tesi di chi li ha nominati
– la predisposizione a voler dare per certo ciò che invece è incerto.
…
Siccome ai giudici piace avere certezze, perché in giudizio solo la certezza serve, e piace loro (è purtroppo umano) sentirsi dire che hanno ragione, si capisce perché i cattivi periti siano molto ricercati e apprezzati.
…
Il giudice dovrà poi tener presente che i periti che lavorano nei laboratori delle forze di polizia o presso procure della repubblica, possono essere inclini a propendere per le tesi dell’accusa, non in mala fede, ma per una inconscia e umana deformazione professionale o perchè influenzati da superiori meno indipendenti di loro.
Parole illuminanti.
Abbiamo due parti in questa indagine: l’arma dei carabinieri e Carlo Guliani.
E un PM che dovrebbe indagare sui carabinieri, o almeno tentare. L’inchiesta prende la piega minimalista che abbiamo visto con la perizia di Marcello Canale che isola le responsabilità al solo Placanica: viene dato per certo (la morte di Carlo prima dell’arrotamento) quello che è invece incerto.
Il PM Franz nomina quindi consulente dell’accusa (imputati i carabinieri) Romanini, i cui rapporti con l’arma sono notori. Romanini, che ha gia’ espresso da mesi la sua visione dei fatti nella sua rivista, coordina una squadra di consulenti eccellenti che si produrranno in performance che passeranno alla storia forense (la sparizione del grosso del proiettile, la deviazione dell’estintore, poi del sasso, le distanze a fisarmonica tra Carlo e il defender, il foro sulla chiesa, la *scheggia* rinvenuta ad un anno di distanza dai fatti). Una grande arrampicata sugli specchi che non sara’ neppure usata dal PM nella sua richiesta di archiviazione, tanto è fragile.
Vi sono inoltre altre circostanze singolari, come ci ricorda l’opposizione dell’avvocato Pisapia all’archiviazione:
Parte delle indagini, anche su circostanze particolarmente delicate, sono state condotte da appartenenti all’Arma dei Carabinieri. I rilievi tecnici sul defender dal quale è partito il colpo mortale, sono stati effettuati dai Carabinieri, all’interno della Caserma di San Giuliano.
Gli accertamenti tecnici effettuati sulla pistola del Placanica sono stati operati dal Nucleo Operativo dei Carabinieri del Comando Provinciale di Genova.
Varie deposizioni testimoniali sono state assunte da Carabinieri. In almeno una occasione, all’assunzione di sommarie informazioni testimoniali rese agli inquirenti erano presenti, in qualità di assistenti per la redazione dell’atto, militari dell’arma dei Carabinieri (v., ad esempio, le s.i.t. del Comandante Truglio del 20.7.2001).
Il metodo di indagine viola il principio reiteratamente stabilito dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo secondo cui, in caso di delitti – in particolare omicidio – commessi da appartenenti alle forze dell’ordine, le indagini devono essere affidate a corpi che siano indipendenti da quelli che sono stati coinvolti nei fatti delittuosi.
Si tratta di una partita giudiziaria regolare? Hanno lavorato in scienza e coscienza i consulenti del PM? E’ stato davvero fatto tutto per arrivare alla verità?
O piuttosto non si è trattato di altro? Dell’opposto? Del tentativo di seppellire sotto una coltre di menzogne le responsabilità reali di quello che è accaduto?
Nella sua richiesta di archiviazione il PM Franz si produce in una affermazione sul comportamento di Placanica: *Il coraggio non è esigibile*.
Lo dice per giustificare il colpo di pistola contro Carlo: «Placanica ha avuto paura e ha sparato, il coraggio non è esigibile».
Sembra che nell’udienza a porte chiuse di fronte al GIP del 17 Aprile Franz abbia anche detto: «Questa indagine non poteva e non potrà chiudersi così se non cè una premessa fondamentale, che le indagini sono state fatte con completezza»
No, signor Pubblico Ministero, le indagini non sono state fatte con completezza. Forse Lei ha ragione a dire che il coraggio non è esigibile. Il suo non lo è stato. A maggior ragione però non è esigibile il rispetto per chi si è comportato in questa inchiesta in modo cosi’ spudoratamente al di sotto della decenza.
Il nostro non lo avrà mai.
Pillola Rossa Crew